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LA STORIA

Liuteria, Neumann: «Così curo l’anima dei violini»

Origini canadesi, dal 1982 a Cremona, studia l’impalpabilità del suono e il rapporto fra strumento e musicista. «Il mio obiettivo è costruire la ‘voce’ che si vuole avere: è fondamentale creare simbiosi e consapevolezza»

Nicola Arrigoni

Email:

narrigoni@laprovinciacr.it

22 Agosto 2022 - 12:10

Liuteria: Neumann, maestro che cura l’anima dei violini

Bernard Neumann

CREMONA - Cura l’anima dei violini, Bernard Neumann, liutaio di origini canadesi e dal 1982 a Cremona, dove dopo la scuola è stato accolto nella bottega di Bruce Carlson. Da allora non se ne è più andato e si considera cremonese d’adozione.

«Qui si sta bene e ormai sono quarant’anni da quella primavera del 1982 in cui da Mittenwald venne a bussare alla scuola di liuteria – racconta Neumann, sguardo ceruleo, modi gentili e pacati —. Ero determinato a fare una scuola di liuteria e dopo infinite trafile, dopo aver avuto le borse di studio del Goethe Institut e in attesa di essere preso come studente straniero nella scuola, avevo inviato la richiesta all’allora preside Renzi. Poi ci fu l’occasione con alcuni amici di Mittenwald di venire a Cremona: fui preso e non me ne sono più andato».

Come è scaturita la sua passione per la liuteria?
«È una specie di seme dormiente che avevo dentro, una passione che ha un’origine ben precisa nel racconto di mio nonno, classe 1898, di stanza a Brescia durante la prima guerra mondiale. Mi raccontò della sua visita a Cremona e di come fosse stato affascinato dalla città di Stradivari. Lui suonava il violino e ne aveva uno con l’etichetta Stradivari, ma ovviamente non era un vero Stradivari. In Canada ho fatto l’università, una sorta di facoltà di musicologia, ma non mi interessava fare il musicista, né insegnare».

Da qui la via della liuteria?
«Cercavo un mestiere che mi permettesse di unire pratica e passione per la musica. La liuteria ha dalla sua la capacità di coniugare la concretezza all’impalpabilità del suono. Alla scuola di liuteria sono stato allievo di Vincenzo Bissolotti, del quale ricordo il gesto assoluto, perfetto e naturale nel fare i violini, poi di Ernesto Vaia e di Lucchi per l’archetteria. Non era possibile fare il liutaio senza sapere di archetti. È stato poi determinante per me essere entrato nella bottega di Bruce Carlson e aver avuto la possibilità di toccare e lavorare sui grandi capolavori della liuteria cremonese e non solo».

Ma Neumann liutaio ha ceduto il posto al Neumann restauratore e non solo…
«Durante la pandemia ho costruito un violino e una viola, sono ancora da verniciare… ma i musicisti che li hanno suonati in bianco, li hanno apprezzati. Per ultimarli c’è tempo».

Perché?
«Perché siamo tornati ad incontrare i musicisti, siamo tornati al loro servizio, ad aiutarli a trovare il suono giusto del loro strumento, quando ce lo chiedono».

È questo che fa?
«Faccio l’anamnesi dello strumento e del musicista e incrocio queste considerazioni con la mia esperienza di liutaio».

Anamnesi è un termine medico: cosa si deve curare nei violini?
«Il suono degli strumenti, mi verrebbe da dire l’anima e non solo perché insieme al ponticello e la tastiera è uno degli elementi su cui intervengo. Non più tardi di qualche giorno fa una violoncellista svizzera mi ha chiesto di metterle a punto il suo strumento, non vi si ritrovava più».

E lei cosa ha fatto?
«Ho cominciato a dialogare con la musicista, chiedendole quali difficoltà incontrasse con il suo strumento, cosa si aspettasse dal suo violoncello. Le ho chiesto di suonare, abbiamo parlato e ci siamo confrontati. Poi ho analizzato il violoncello e ho ipotizzato quale poteva essere il mio intervento».

Con quale obiettivo?
«Ottimizzare il suono, nei limiti delle possibilità e nel rispetto delle esigenze del musicista; e portare lo strumento al massimo delle sue potenzialità. Per questo nel mio lavoro è determinante il rapporto con il musicista, sentirlo suonare, fare una vera e propria anamnesi del violino oltre che del suo proprietario».

Un po’ come se musicista e strumento andassero dallo psicanalista?
«No, non credo, anche se si parla di anima. L’anima del violino è un’anima che si può toccare. E non solo perché è un elemento dello strumento che mette in contatto fondo e tavola, ma perché vive del respiro del suono».

Sembra di capire che il rapporto fra musicista e strumento sia simbiotico. A questo è dedicato il suo intervento specifico?
«È esattamente così. E lo è perché credo che lo strumento sia parte di un musicista, un’appendice fisica, corporea. Per questo, per me, è importante capire le esigenze acustiche del concertista oltre che le caratteristiche fisiche del violino o del violoncello. Ecco: il mio intervento deve riportare armonia fra musicista e violino, ha lo scopo di rimetterli sulla stessa strada».

E quando questo accade?
«Beh, quando un musicista prende in mano il suo strumento e non vuole più lasciarlo, continua a suonarlo magari notando che riesce a fare cose prima impossibili. È il segno evidente che il mio intervento è andato a buon fine».

Quanto la sua esperienza di restauratore di strumenti antichi conta nella sua attività?
«È fondamentale. Avere la possibilità di maneggiare i capolavori di Stradivari, Amati e Guarneri del Gesù, per limitarci ai cremonesi, è come avere la possibilità di un rapporto intimo, a tu per tu con un grande capolavoro, un quadro o una scultura. Ne esci cambiato, hai modo di confrontarti con cose uniche che ti arricchiscono incredibilmente. Per questo le lezioni che Bruce Carlson e Fausto Cacciatori stanno tenendo al Museo del Violino nell’ambito del progetto di salvaguardia del saper fare liutario sono importanti e preziose, perché permettono ai liutai di avere fra le mani i tesori della nostra liuteria classica. Sono veri capolavori, di una complessità unica: è come stare al cospetto delle grandi cattedrali. La possibilità di toccare con mano uno Stradivari o un Amati è una sensazione unica. Confrontarsi con i grandi capolavori della liuteria ti fornisce una consapevolezza del tuo fare».

Per superare i capolavori di Amati, Guarneri e Stradivari?
Sorride: «Per cercare il suono giusto, per dare con consapevolezza allo strumento che stai costruendo la voce che vorresti avesse. Ma poi ogni violino trova la sua voce, anche grazie a chi lo suona, per quella simbiosi che unisce musicista e strumento. E il compito di noi liutai è rinverdire, curare, quel legame che regala emozione a chi ama la musica e i concerti».

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