L'ANALISI
Una casa nel ghetto
18 Novembre 2013 - 16:29
Settimio Calò, venditore ambulante di stoffe, non era a casa quella mattina all’alba quando i tedeschi si presero la moglie Clelia Frascati, i suoi dieci figli dai sei mesi ai ventidue anni, e un nipotino di dodici anni che si era fermato a dormire da loro. «Tutti deportati, tutti morti all’arrivo ad Auschwitz», scrive Anna Foa in Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ’43. Foa, docente di Storia moderna all’università La Sapienza, rievoca i giorni dell’occupazione tedesca di Roma e la recrudescenza delle persecuzioni contro gli ebrei, partendo da una casa ai margini del ghetto, un antico edificio medievale con tracce romane che i secoli hanno trasformato in un groviglio di cortili, scale, appartamenti, passaggi, balconi e abbaini. In tempo di guerra era un caseggiato popolare, abitato da famiglie numerose, quasi tutte ebree: ci stavano piccoli commercianti, operai, stracciaroli, artigiani, cucitrici e c’era sempre un via vai di ragazzini vocianti. Povera gente, come quasi tutti nel ghetto, che non scappò prima perché non aveva posto dove andare, perché la casa era tutto ciò che aveva, e perché si sentiva più al sicuro nella rete di strade familiari, dove tutti erano mezzi parenti e tutti si conoscevano. Una casa — una delle prime da cui i nazisti cominciarono il rastrellamento del 16 ottobre del ’43 — che diviene simbolo nel tentativo di «restituire anima e volto a quelle persone, a cui la vita di ogni giorno è stata strappata brutalmente, in un attimo». Diciotto nuclei familiari, un centinaio di persone: trentacinque di loro, compresi diciannove bambini e due donne incinte, furono arrestati in quella tragica alba d’autunno. Altri abitanti della casa furono fermati da nazisti e fascisti nelle settimane successive, qualcuno è tra i martiri delle fosse Ardeatine. Tra chi sfuggì a quella caccia all’uomo, tanti trovarono rifugio nei conventi, qualcuno sfollò in campagna. Molti, soprattutto le donne, non ci provarono neppure a scappare: malgrado l’evidenza dei fatti, rimase a lungo la convinzione che i tedeschi si sarebbero presi solo gli uomini. E poi come potevano fuggire le mamme con i ragazzini al collo, e come avrebbero potuto i vecchi calarsi dagli abbaini? Dove possibile Foa racconta le storie, gli intrecci familiari, il prima e il dopo le leggi razziali e le deportazioni, dando vita a un affresco vivido e doloroso e senza tacere il ruolo che ebbero i delatori.
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