L'ANALISI
11 Novembre 2013 - 12:04
Dopo il successo ultradecennale de Il piccolo principe, la Compagnia Mannini Dall’Orto Teatro si cimenta nuovamente con una favola per grandi e piccoli: Il mago di Oz, dal romanzo capolavoro di L. Frank Baum.
Italo Dall’Orto - anche regista – interpreta la parte di Oz, mentre il ruolo di Dorothy è affidato ad una bambina di talento che trascinerà il pubblico in un avventuroso e coloratissimo viaggio in compagnia dello Spaventapasseri, dell’Uomo di Latta e del Leone. Altre curiose figure si affacciano nella storia, interpretate in un rocambolesco girotondo da Erika Giansanti, attrice e violinista, e dai ballerini professionisti del Centro Studi Danza e Movimento di Firenze. La scenografia di sole proiezioni e suggestivi giochi di luci lascia spazio a variopinti e magici costumi, mentre le musiche originali sono ispirate all’intramontabile motivo “Over the rainbow”.
Esistono libri per l’infanzia che rappresentano, al di là del loro valore letterario universale, il tessuto connettivo di una nazione. Così è per Pinocchio, per Il piccolo principe, per Alice. Per Il mago di Oz il caso si colora addirittura di patriottismo: citando Masolino D’Amico: “Con l’allegra serietà di un rituale domestico, la popolazione compatta si rimette ogni anno davanti al televisore a sentire per la milionesima volta “Over the rainbow” uscire dall’ugola perennemente argentina di Judy Garland; o affolla disciplinatamente i teatri dove avviene l’ultima rielaborazione del sacro testo”. C’è tanto di americano anche nel suo autore: L. Frank Baum (1856-1919) fu attore, rappresentante di lubrificanti e porcellane, autore di musical, giornalista e fondatore di riviste per vetrinisti, più volte fallito e resuscitato, ogni volta ricominciando in qualche parte dell’Est o dell’Ovest degli States, finché a Chicago, nel 1900, dall’incontro con il grande disegnatore W.W. Denslow, nacque The Wonderful Wizard of Oz. Come non pensare a lui come creatore del favoloso mondo di Oz, dove forze oscure e benevole si contendono l’esito del viaggio della caparbia Dorothy e dei suoi amici, un mondo in cui i quattro punti cardinali hanno lo stesso valore mitico di quello degli States? Dove strane comunità di ominidi vivono con sospette regole sociali (il libro di Baum fu giudicato politicamente malsano dalla paranoica Commissione McCarthy)? E infine, Dorothy non incarna, e sostituisce, un affrancamento culturale e comportamentale dalla sua coetanea europea, la vittoriana Alice? La simpatia che proviamo per questo testo ci induce una volta di più a tentare la sua messa in scena con la consueta aderenza, certamente rispettosa ma non oleografica.
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