Cerca

Eventi

Tutti gli appuntamenti

Eventi

IL PUNTO

La pietà lessicale per i codici rossi

Il caso della sentenza torinese riaccende l’attenzione sul peso delle parole nella narrazione della violenza di genere. Perché la civiltà comincia da come si nomina il dolore

Paolo Gualandris

Email:

pgualandris@laprovinciacr.it

14 Settembre 2025 - 05:25

La pietà lessicale per i codici rossi

Alla domanda ‘a quale velocità diresti che andassero le auto quando si sono urtate?’ si tende a rispondere con una indicazione inferiore rispetto a coloro cui viene chiesto ‘A quale velocità diresti che andassero le auto quando si sono schiantate l’una contro l’altra?’.

Così è perché schiantarsi suggerisce un impatto più violento rispetto a urtarsi, influenzando così la percezione di quanto realmente accaduto. Questa è una delle conclusioni dell’esperimento della psicologa americana Elizabeth Loftus sul potere delle parole nella memoria, pietra miliare nel campo degli studi su ‘l’informazione sbagliata’.

Perché le parole sono pietre, come titolava nel 1955 un suo famoso romanzo Carlo Levi. Tornando alla ricerca di Loftus, viene da chiedersi: se una singola parola può avere un impatto così grande, quale peso e quale carica emotiva potrà possedere in un’aula di tribunale? Il giudizio di «umanamente comprensibile» scritto da un giudice torinese nella sentenza di condanna tutto sommato lieve (assolto dall’accusa di maltrattamenti, ha avuto un anno e mezzo per lesioni ma non farà neppure un giorno in cella), per un uomo che ha massacrato la moglie, addossando in parte la responsabilità alla donna perché avrebbe «distrutto il matrimonio», significa perpetuare una pericolosa narrazione.

In qualche modo viene sdoganato il concetto di violenza in generale, e di violenza di genere in particolare. Perché, appunto, le parole sono pietre che colpiscono cuori e cervelli e vi affondano radici. Soprattutto se a pronunciarle è una sentenza. Servirebbe invece percorrere la strada in direzione diametralmente opposta. Lo sappiamo bene anche qui, in provincia di Cremona: tra il primo giugno e il 19 agosto scorsi, i carabinieri hanno perseguito ben 27 casi di maltrattamenti in famiglia e atti persecutori.

Non è solo e non tanto una questione puramente semantica, cioè della determinazione dei limiti di un linguaggio corretto e rigoroso mediante l’analisi dei ‘simboli’ linguistici di uso comune: le parole hanno il potere di plasmare la percezione sociale della realtà e di influenzare profondamente i comportamenti a venire, soprattutto tra le fasce meno consapevoli di popolazione.

Gli studi di Loftus evidenziano l’importanza di usare il linguaggio con consapevolezza, specialmente in contesti delicati come le testimonianze nei processi. Comprendere e rispettare questo potere è fondamentale per una comunicazione efficace. Nel caso torinese quanto sarebbe servita la presenza di uno psicologo o di uno psichiatra forense prevista, tra altre novità come il registro pubblico dei ‘sex offenders’, nel progetto di legge presentato dal senatore cremasco Renato Ancorotti in collaborazione con Alessandra De Paola e Roberta Bruzzone che sta raccogliendo consensi bipartisan.

Le figure individuate nel ddl Ancorotti, sono chiamate ad affiancare magistrati e pubblici ufficiali sin dalle prime fasi dei procedimenti penali legati a episodi di violenza di genere. Durante interrogatori e audizioni, possono segnalare le situazioni a rischio, consentendo di disporre misure tempestive come l’assegnazione del denunciato a strutture sanitarie o a programmi di recupero. Contributi che possono rivelarsi importanti anche nella fase di riflessione dei giudici al momento di stendere le sentenze.

È difficile accettare una sentenza secondo la quale l’ex marito violento «va compreso» perché il pestaggio non fu «accesso d’ira immotivato e inspiegabile» ma soltanto uno sfogo riconducibile «alla logica delle relazioni umane». Che logica accettabile si può trovare nella vicenda delle ‘gesta’ di un ex marito che in sette minuti di violenza ha devastato il volto della donna, poi ricostruito con ben 21 placche di titanio, e leso in modo irrecuperabile un occhio? È accettabile la giustificazione, sempre affermata per penna dal giudice, «dell’amarezza causata dalla dissoluzione della comunità domestica di un matrimonio ventennale», decisa - come da sua denuncia - dopo aver subito anni di violenza psicologica e verbale? Una donna che, sempre secondo quanto scritto nella sentenza, aveva reagito «sfaldando un matrimonio» comunicando la volontà di separazione «in maniera brutale».

Contro la sentenza è già stato annunciato appello - la giustizia deve fare il suo corso - e si è registrata un’ondata di indignazione bipartisan oltre che di alcuni settori della magistratura stessa. Parte del danno però è stato fatto, concetti come l’umana comprensione di un gesto di violenza tendono subdolamente a farsi largo, riportando indietro l’orologio della consapevolezza civica e della convivenza civile di molti anni. Non solo nel campo del Codice rosso e della violenza di genere.

È una questione di civiltà umana ancor prima che giuridica. Il linguaggio può influenzare la percezione in ogni contesto, nella comunicazione quotidiana, nei media, nella pubblicità e nell’educazione. Essere consapevoli del potere delle parole è importante in tutte le aree della vita. Multo quam ferrum lingua atrocior ferit, la lingua ferisce molto più della spada, ci insegnavano già gli antichi romani, gente che con la ferocia della armi aveva un gran dimestichezza. Un detto che conserva grande attualità in molti contesti della vita quotidiana, a partire dalle relazioni tra individui che trova la sua peggiore applicazione nel mondo delle relazioni virtuali.

Tornando a Torino e alla sentenza, non si può sottovalutare il fatto che la violenza domestica e di genere sono uno dei fenomeni più preoccupanti, come è stato sottolineato dai responsabili delle varie forze dell’ordine anche di casa nostra. In occasione delle feste annuali di carabinieri, polizia di Stato e polizia locale non sono mancati gridi d’allarme in questo senso. Un fenomeno in crescita negli ultimi anni. Assommando gli interventi delle varie forze dell’ordine siamo a centinaia di casi ogni 12 mesi nel solo territorio cremonese. Chi ha il coraggio di spiegare a quelle donne e a quei figli maltrattati e oggetto di violenza che sono semplicemente vittime di «sfoghi riconducibili alla logica delle relazioni umane»?

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su La Provincia

Caratteri rimanenti: 400

Prossimi Eventi

Mediagallery

Prossimi EventiScopri tutti gli eventi