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Vangelo della IIIa di Pasqua

Se non capiamo che Dio ci ama
viviamo ‘arrotolati’ su noi stessi

Giovanni 21, 1-19

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14 Aprile 2013 - 14:07

Se non capiamo che Dio ci ama
viviamo ‘arrotolati’ su noi stessi

Liberazione di San Pietro (Guercino)

di don Marco D'Agostino
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po' del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Non è così difficile dimenticarsi di Gesù, chiuderlo nuovamente nel sepolcro, farlo tacere, tappare cuore e orecchi per ascoltare solo se stessi. E anch’io, spesso, mi sento come i discepoli, sfiduciati e stanchi, desiderosi di tornare a fare quello che sapevano fare, i pescatori. Di chiudere con un passato che ha deluso e con un personaggio che non ritorna dalla morte. Non solo la Quaresima è il tempo di vincere le tentazioni, anche la Pasqua. Cacciare la tentazione che la nostra vita ospiti solamente sinfonie tristi e scoraggianti, che le nostre reti siano semplicemente vuote, nonostante tanti sforzi apparentemente inutili. E come a Simon Pietro anche a ciascuno, forse, piacerebbe tornar indietro: quanto mai mi sono sposato! Cosa mi è venuto in mente di fare il prete? Chi me l’ha fatto fare di intraprendere questa e quell’altra strada? La tentazione, reale, di dimenticare la gioia e ritornare ad una vita differente, non reale, dove ritroverei solamente me stesso e le mie reti vuote. La tentazione di abbandonare Colui che avevo incontrato davvero, di farlo tacere in me: nessuno osava domandargli “chi sei?” perché sapevano bene che era il Signore. E se lo so perché non lo seguo con tutto me stesso? Perché non mi fido: questo è vero problema di ciascuno, anche se sperimento, nel quotidiano, come facendo il bene il mio cuore si riempie di gioia e facendo il male s’intristisca. Ma tutto questo non è sufficiente perché la rete sia piena. Da solo non ce la faccio. Devo ammettere questo limite esistenziale e salvifico. Il Maestro s’avvicina, segue con lo sguardo i suoi discepoli sofferenti, mangia con loro sulla riva del lago, si fa conoscere e soprattutto fa delle domande a Simon Pietro. Gesù ha un vizio terribile ed è quello di amare i suoi sino alla fine: mi vuoi bene? La domanda a Pietro è cadenzata per ben tre volte. Se la risposta è positiva il discepolo potrà iniziare il suo servizio. Se non capisco questo amore che Dio mi vuole vivrò la mia vita arrotolato su me stesso, pensando che più mi “tengo” e più mi conserverò, più penserò a me stesso e più la mia vita sarà felice. Forse umanamente, ma la mia vita si riempie d’infinita tristezza e assomiglia molto a quella rete vuota. Gesù non pensa se l’ho rinnegato. Guarda se ne ho voglia di volergli bene. Non ricorda se l’ho venduto. Mi chiede esplicitamente se voglio servirlo e in lui anche i miei fratelli. La gioia, quella vera, quella che non passa, che viene dalla Pasqua sta solamente nell’ascolto delle parole del Risorto che fanno risorgere anche me: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. E la gettano. E trovano. E sono felici. E capiscono. E tirano a terra la rete piena di pesci. E mangiano insieme. La forza della fede sta in quella fiducia in Dio, in quell’uscire da se stessi per credere che Gesù ha ragione e la sua croce è lì a dirlo, la tomba vuota lo ricorda senza tregua. Se butto la rete della vita, colma di sfiducia, è perché Gesù vede già quella piena di speranza. Se trovo il coraggio, ancora, di gettarla, sarà una Buona Pasqua.

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