L'ANALISI
Vangelo della IIIa di Pasqua
14 Aprile 2013 - 14:07
Liberazione di San Pietro (Guercino)
Non è così difficile dimenticarsi di Gesù, chiuderlo nuovamente nel sepolcro, farlo tacere, tappare cuore e orecchi per ascoltare solo se stessi. E anch’io, spesso, mi sento come i discepoli, sfiduciati e stanchi, desiderosi di tornare a fare quello che sapevano fare, i pescatori. Di chiudere con un passato che ha deluso e con un personaggio che non ritorna dalla morte. Non solo la Quaresima è il tempo di vincere le tentazioni, anche la Pasqua. Cacciare la tentazione che la nostra vita ospiti solamente sinfonie tristi e scoraggianti, che le nostre reti siano semplicemente vuote, nonostante tanti sforzi apparentemente inutili. E come a Simon Pietro anche a ciascuno, forse, piacerebbe tornar indietro: quanto mai mi sono sposato! Cosa mi è venuto in mente di fare il prete? Chi me l’ha fatto fare di intraprendere questa e quell’altra strada? La tentazione, reale, di dimenticare la gioia e ritornare ad una vita differente, non reale, dove ritroverei solamente me stesso e le mie reti vuote. La tentazione di abbandonare Colui che avevo incontrato davvero, di farlo tacere in me: nessuno osava domandargli “chi sei?” perché sapevano bene che era il Signore. E se lo so perché non lo seguo con tutto me stesso? Perché non mi fido: questo è vero problema di ciascuno, anche se sperimento, nel quotidiano, come facendo il bene il mio cuore si riempie di gioia e facendo il male s’intristisca. Ma tutto questo non è sufficiente perché la rete sia piena. Da solo non ce la faccio. Devo ammettere questo limite esistenziale e salvifico. Il Maestro s’avvicina, segue con lo sguardo i suoi discepoli sofferenti, mangia con loro sulla riva del lago, si fa conoscere e soprattutto fa delle domande a Simon Pietro. Gesù ha un vizio terribile ed è quello di amare i suoi sino alla fine: mi vuoi bene? La domanda a Pietro è cadenzata per ben tre volte. Se la risposta è positiva il discepolo potrà iniziare il suo servizio. Se non capisco questo amore che Dio mi vuole vivrò la mia vita arrotolato su me stesso, pensando che più mi “tengo” e più mi conserverò, più penserò a me stesso e più la mia vita sarà felice. Forse umanamente, ma la mia vita si riempie d’infinita tristezza e assomiglia molto a quella rete vuota. Gesù non pensa se l’ho rinnegato. Guarda se ne ho voglia di volergli bene. Non ricorda se l’ho venduto. Mi chiede esplicitamente se voglio servirlo e in lui anche i miei fratelli. La gioia, quella vera, quella che non passa, che viene dalla Pasqua sta solamente nell’ascolto delle parole del Risorto che fanno risorgere anche me: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. E la gettano. E trovano. E sono felici. E capiscono. E tirano a terra la rete piena di pesci. E mangiano insieme. La forza della fede sta in quella fiducia in Dio, in quell’uscire da se stessi per credere che Gesù ha ragione e la sua croce è lì a dirlo, la tomba vuota lo ricorda senza tregua. Se butto la rete della vita, colma di sfiducia, è perché Gesù vede già quella piena di speranza. Se trovo il coraggio, ancora, di gettarla, sarà una Buona Pasqua.
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