L'ANALISI
AGRICOLTURA: I NODI
15 Maggio 2023 - 14:14
ROMA - Il 14 aprile scorso è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto-legge Siccità. Un atto salutato con soddisfazione da Confagricoltura, che dimostra la volontà dell’Esecutivo di mettere mano ad un problema che si è già manifestato in tutta la sua drammatica portata in questa primavera così difficile. L’obiettivo è una governance nazionale, affidata a una cabina di regia collegiale che ha sede a Palazzo Chigi, dotata di poteri sostitutivi nei rapporti con le Regioni e gli altri enti locali. L’organismo, si legge nel testo del dl, promuove “il coordinamento tra i diversi livelli di governo, gli enti pubblici nazionali e territoriali e ogni altro soggetto pubblico e privato competente” ed effettua la ricognizione degli interventi da realizzare. Braccio operativo sarà il commissario straordinario nazionale, che lavorerà per sbloccare i lavori più urgenti, per regolare i volumi degli invasi, ma anche per censire le concessioni rilasciate per i diversi utilizzi della risorsa.
La Confederazione ha espresso particolare apprezzamento per la misura, da tempo attesa, per la previsione del riutilizzo delle acque reflue. Oggi il recupero è fermo all’11% e su oltre 3.300.000 ettari coltivati, la depurazione ne serve solo 15.000. Secondo i dati Ispra, in tutto lo Stivale, sono in funzione 79 impianti per la produzione di acque di riuso. Di questi, solo 16 sono dotati di una rete di distribuzione per l’irrigazione dei campi. Complessivamente ci sono 7.781 impianti di depurazione dotati di un sistema di trattamento avanzato che devono essere potenziati.
La scelta del governo di prevedere un “provvedimento autorizzatorio unico” per le richieste di riutilizzo è molto positivo. Importante anche lo snellimento delle procedure per la realizzazione di infrastrutture idriche, tra cui i desalinizzatori e gli invasi aziendali. Il tema dei tempi è fondamentale: per la fase di progettazione di un’opera si impiegano in media 1.080 giorni, contro 590 previsti. Quasi il doppio. Il risultato è che, oggi, mediamente sono necessari 5,2 anni per portare a termine un’opera.
Un segno di ulteriore sensibilità emerge con la previsione nel dl di Osservatori distrettuali sugli utilizzi idrici e per il contrasto dei fenomeni di scarsità idrica da istituire in ciascuna Autorità di bacino. Il loro lavoro sarà determinante per la raccolta, l’aggiornamento e la diffusione dei dati relativi alla disponibilità e all’utilizzo dell’acqua nel distretto idrografico di riferimento. La speranza è che la nuova struttura emergenziale metta mano anche alle priorità d’uso delle acque con interventi che rispondano alle necessità urbane e agricole. Una questione che richiede il coinvolgimento anche dei bacini idroelettrici.
Il decreto-legge e la struttura di gestione emergenziale sono strumenti che serviranno nel brevissimo periodo a tamponare le carenze di approvvigionamento della risorsa blu già attese per certo in estate. Ma per uscire dalla logica emergenziale è necessario sviluppare un nuovo approccio sistemico e integrato: una strategia idrica nazionale che non è più rimandabile, come ha sottolineato su Mondo Agricolo di marzo Vittorio Viora, vicepresidente Anbi e alla guida dell’autorità dei bacini idrici in Piemonte. Pensare di poter risolvere i problemi con politiche di medio periodo vuol dire partire già sconfitti. Si calcola che sarebbero necessarie risorse aggiuntive pari a circa 4 miliardi all’anno per risolvere le attuali criticità. Tre volte in più di quanto attualmente stanziato dal PNRR, nel quale solo 900 milioni sono destinati alla manutenzione della rete di distribuzione idrica. Secondo l’European House Ambrosetti servirebbero almeno 4 miliardi.
La strategia non può risolversi esclusivamente nei (necessari) interventi infrastrutturali e nell’efficientamento dei consumi agricoli. In questo contesto è importante che si prosegua lungo la strada degli incentivi di Agricoltura 4.0 per sostenere gli sforzi che il settore primario sta facendo, come sottolineato ad aprile dalla dg di Confagri, Annamaria Barile, in audizione in commissione Senato. La politica deve prevedere investimenti in ricerca scientifica e sviluppo per introdurre e diffondere la coltivazione di precisone e varietà adatte alle nuove condizioni di aridità.
Il 30% della superficie irrigata, oggi, adotta tecniche di irrigazione a goccia con un risparmio d’acqua tra il 15% e l’80%. Si tratta di ammodernamenti che, almeno in fase di investimento iniziale, fanno salire i costi di irrigazione di oltre il 50%. A peggiorare la situazione ci sono i costi dell’energia che, in una regione come l’Emilia-Romagna, fanno salire a 430 euro il costo medio dell’energia elettrica necessaria ad irrigare un ettaro di frutteto. Nel 2020 il costo era di 92 euro (fonte: Consorzio per il Canale Emiliano Romagnolo).
Alcuni dati dell’area Politiche sviluppo sostenibile ed innovazione di Confagricoltura spiegano facilmente l’importanza d’acqua in agricoltura. Un ettaro irrigato produce il 30% in più di un ettaro non irrigato. Un solo grado centigrado in più comporta una riduzione delle rese del 6% per il grano, del -7,4% per il mais, del -3,2 per il riso e del - 3,1 per la soia. L’84% delle produzioni agroalimentari italiane necessita di irrigazione; su complessivi 4.500.000 gli ettari irrigabili, quelli effettivi sono 3.300.000. In gioco c’è la capacità produttiva del Paese. Nel 2022 si sono registrate diminuzioni delle produzioni a due cifre. In alcuni casi superando il 30% fino a raggiungere il 50%. La crescita dei danni economici prodotti dai cambiamenti climatici galoppa: se negli ultimi 20 anni la siccità ha tolto al settore primario oltre 15 miliardi di euro, se ne ipotizzano ben 6 soltanto per il 2022.
Il riso è forse la cartina tornasole del contesto attuale. Nel 2022 la coltura nazionale ha perso 23.000 ettari soltanto nella Lomellina e 3.000 nel Novarese. I risicoltori, anche a causa dell’essiccazione e dell’aumento dei costi delle materie prime, hanno convertito 9.000 ettari in soia, girasole, mais.
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