L'ANALISI
26 Febbraio 2023 - 08:44
Matteo Lasagna, vicepresidente di Confagricoltura
CREMONA - I grandi laghi del nord Italia a meno della metà del livello massimo di riempimento, i corsi d’acqua in cui le zone sabbiose iniziano ad affiorare con sempre maggiore insistenza. E poi quella che forse è la foto simbolo, l’isola del Conigli, sul lago di Garda, raggiunta a piedi da un incessante andirivieni di persone, che attraversano letteralmente le acque su un lembo di terra. Sono immagini che descrivono perfettamente la condizione di grave carenza idrica che sta attanagliando (per ora) la metà settentrionale della nostra penisola. Scenari da luglio o agosto inoltrati, ma la realtà dice che non siamo nemmeno a marzo, e dunque il campanello d’allarme suona forte. Se lo scorso anno infatti si parlava di siccità e di eventi climatici eccezionali che in passato capitavano nell'arco di un decennio, il 2023 presenta con largo anticipo un quadro molto preoccupante. Confagricoltura fin da subito ha cercato di tenere alta la guardia su questi temi, e nei giorni scorsi ha chiesto ufficialmente un piano di azione su più fronti, alla luce dei cambiamenti climatici in atto.
«Si sta lavorando – ha spiegato Matteo Lasagna, vicepresidente nazionale di Confagricoltura – per mettere in piedi una commissione di gestione dell’emergenza idrica, per non sprecare nemmeno una goccia d’acqua. Ci sono naturalmente dei progetti a medio-lungo termine, come quello avanzato da Anbi sui laghetti, ma è chiaro che la priorità assoluta ora è quella di dare risposte celeri in vista della stagione irrigua 2023». Per Lasagna il primo passo da compiere è uno solo, e parte da monte, vale a dire dalle metodologie di coltivazione: «Oggi la sperimentazione sulle Tea (o Nbt, ndr) in Lombardia può diventare qualcosa di concreto, grazie alla recente delibera del consiglio regionale. Non possiamo più aspettare, dobbiamo iniziare a sperimentare in pieno campo anche colture maggiormente resistenti alla siccità e agli stress idrici».
E poi naturalmente la gestione della, finora poca, acqua a disposizione: «La regolazione dei deflussi minimi vitali e l’azione di prevenzione contro gli sprechi idrici rientrano nel modus operandi di un commissario. Attenzione anche ai fondi in arrivo dal Pnrr, che dovranno essere amministrati e gestiti bene. Non possiamo pensare infatti che i 357 milioni di euro per il bacino del Po debbano essere destinati a riportare le salamandre in quelle zone. Dobbiamo utilizzarli per dragare, spostare sabbia ed evitare che acqua preziosa finisca in mare senza possibilità di essere utilizzata o accumulata».
Ben vengano invasi e bacini, ma si tratta di progetti a lungo termine che «andranno studiati e progettati con attenzione, per far sì che le strutture da costruire operino al massimo della loro efficienza».
Quanto alla riduzione del deflusso dalla diga di Salionze, passato da 14 a 9 metri cubi al secondo nel tentativo di trattenere più acqua all’interno del bacino del Garda, Lasagna è chiaro: «Decisione positiva, ma arrivata in forte ritardo. Nella gestione di queste situazioni serve innanzitutto buonsenso, ed è quello che ci vorrebbe anche per quanto riguarda il canale Mori-Torbole (che collega l’Adige al Garda, ndr). Il luogo comune più diffuso è che l’acqua dell’Adige sia più inquinata rispetto a quella del Garda e che non si voglia aprirlo per questo. In realtà analisi già effettuate hanno smentito questa affermazione».
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