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La storia vera dei fratelli Sacco

Western nostrano di onesti costretti a fare i vendicatori

Braccianti onesti in cella per aver combattuto l’omertà che facilita la mafia, l’incontro con Gramsci e Terracini che gli ridaranno la libertà

Gigi Romani

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lromani@laprovinciadicremona.it

04 Novembre 2013 - 16:26

Western nostrano di onesti costretti a fare i vendicatori
Andrea Camilleri
‘La banda Sacco’, Sellerio
181 pagine, 13 euro
Andrea Camilleri
‘La banda Sacco’, 
Sellerio - 181 pagine, € 13
Andrea Camilleri racconta come la mafia «non solo ammazzi ma, laddove lo Stato è latitante, sia anche in grado di condizionare e di stravolgere irreparabilmente la vita delle persone » nel suo nuovo romanzo ‘La banda Sacco’ pubblicato da Sellerio e velocemente arrivato in testa alle classifiche dei più venduti. È un «western nostrano» come lo definisce lo stesso Camilleri rievocando Sciascia, nella nota in calce al libro in cui spiega anche di aver potuto raccontare questa storia «assolutamente autentica» grazie a Giovanni Sacco - alla cui memoria è dedicato il romanzo - che «m’ha invitato » a parlare delle vicende della sua famiglia. Giovanni, uno dei sei figli di Girolamo Sacco, ha fornito allo scrittore documenti e anche gli atti del processo al centro della vicenda. Camilleri ha cambiato «talvolta qualche nome » o ha usato «delle false iniziali» per dar voce a una storia che vede i fratelli Sacco da braccianti, grandi lavoratori combattere l’omertà e finire in carcere dove fanno degli incontri importanti, incrociano Antonio Gramsci e conoscono Umberto Terracini su sollecitazione del quale, decenni dopo la caduta del fascismo, i fratelli Sacco otterranno nel 1962 la grazia. Siamo nella seconda metà dell’Ottocento e il patriarca Luigi Sacco, intraprendente bracciante stagionale, riesce a diventare uno specialista di innesti di alberi di pistacchio e può finalmente sposarsi con la sua innamorata e costruirsi una casetta. Dal matrimonio nascono cinque figli maschi e una femmina. Nella prima guerra mondiale tre di loro, Salvatore, Giovanni e Girolamo sono chiamati alle armi e partono per il fronte. Tutti grandi lavoratori si danno da fare e raggiungono una certa agiatezza ma «c’era la mafia». «I carrabbinieri, contro la mafia imperante, possono fare picca assà, squasi niente» scrive Camilleri. La loro vita cambia nei primi mesi del 1920 e peggiora via via quando la mafia gli dichiara guerra anche a colpi di carta bollata. La latitanza diventa obbligatoria e quando arriva il fascismo che vuole battere a tutti i costi Cosa Nostra comincia inspiegabilmente la caccia ai Sacco costretti a diventare una vera e propria banda. Tra emigrazione transoceanica, agguati e tradimenti è un escalation di violenza fino alla repressione e al processo che prende il via il 28 marzo del 1928 in cui tre dei fratelli vengono imputati di due omicidi e altri due di associazione aggravata e cominciano a fare «il giro infernale delle carceri ». A Turi, Vanni e Girolamo incontrano Gramsci che per i Sacco «nutre una certa simpatia» racconta Camilleri. E i due fratelli «sono letteralmente soggiogati dalla cultura e dall’umanità di quell’uomo». E quando Girolamo, scontata la condanna, viene rimesso in libertà, Gramsci gli affida alcune carte. «Il succo della storia, di questo western nostrano di onest’uomini indotti e costretti a farsi vendicatori, è di declinazione manzoniana» come sottolinea Salvatore Silvano Nigro nella nota di copertina.
Mauretta Capuano
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