In forma strepitosa come non mai, Cristiano Cavina torna in libreria con ‘Inutile Tentare Imprigionare Sogni’, cioè Itis, un nuovo divertentissimo romanzo sulla scuola, sull’amore, sulla libertà. «Sapevo che prima o poi avrei scritto qualcosa sui miei anni all’Istituto tecnico, solo che non avevo idea di come fare», spiega. «Come per ogni mio romanzo, non si trattava di mettere in fila i ricordi di ciò che avevo vissuto, ma di trovare una voce capace di raccontarmeli. Avevo da parte alcune paginette scritte tanti anni fa, quando ancora usavo la mia prima macchina da scrivere, una Olivetti Lettera 22 sdentata (mancava il tasto della R): avevo messo giù alcune scenette a cui mi era capitato di assistere durante le scuole superiori, soprattutto quella del mio compagno Confittoni, quando chiese in prestito al latin lover della nostra classe, Oscar Rosini, il suo montoncino per fare colpo su una ragazza di ragioneria. Quando tornò a scuola il pomeriggio – avevamo il rientro per le quattro ore di impianti elettrici – Confittoni aveva il naso rotto e il montoncino era inzuppato di sangue. Si era presentato all’appuntamento con la tipa di ragioneria armato delle migliori intenzioni, e ci aveva guadagnato un pugno in faccia da un imprevisto fidanzato, gelosissimo». Cavina, con questo libro, parla d’amore: dei gioielli veri e fragili di un momento, di monete false e di bigiotteria. Con la dolcezza di un cantastorie, scena dopo scena, trasformaaule di scuola in una giungla misteriosa, e tra scimmie, avvoltoi e pantere ci porta fin là, in una piccola cucina, dove una verità semplice, senza pretese, illumina gli occhi dietro un ferro a vapore. «Ho sempre saputo le storie che desidero salvare — spiega lo scrittore di Casola, che per non perdere il contatto con la dura realtà quotidiana appena può torna a fare le pizze nel locale dello zio —. Quello che è difficile, più di ideare una trama, sistemare l’intreccio, o sviluppare i personaggi, è imbattersi in qualcuno che me le racconti. Poi un giorno stavo pastrocchiando con il computer: è la mia versione adulta di quando ero piccolo e mi veniva voglia di imbrattare i fogli con i pennarelli, senza sapere bene cosa disegnare. Pasticciavo qualche vecchio file qua e la, con l’idea vaga di scrivere un racconto su una famiglia sgangherata degli anni Ottanta.
Scrivevo tanto per fare, cercando di imitare lo stile dei narratori irlandesi, alla Roddy Doyle, che mi piacciono da morire». Come in tutte le sue storie, le origini hanno un ruolo fondamentale: «Tra l’altro l’infanzia di noi bambini di Casola Valsenio, figli di famiglie felicemente senza soldi, ha qualcosa di irlandese. L’unica differenza è che non eravamo divisi tra lealisti e repubblicanimatra figli di cattolici e figli di comunisti. Anche gli asili erano separati, per dire. Noi andavamo nella scuola materna Santa Dorotea, gestita dalle suore orsoline, gli altri al nido comunale: le suorine ogni mattina, tra le altre, ci facevano dire anche la preghiera per i bambini comunisti che frequentavano il nido comunale, perché nonostante tutto proteggesse anche le loro famiglie e magari le rimettesse sulla retta via. Il racconto della famiglia sgangherata non era un granché, e l’ho messo da parte. Poi poco tempo dopo, rileggendolo, mi sono accorto che nel niente di quelle pagine, spiccava il nome del figlio, Baldo Creonti. Mi piaceva quel nome. Creonti era il cognome della mamma di mio nonno, un cognome che si era estinto visto che in famiglia erano dodici sorelle e un maschio che non aveva avuto figli. Baldo era un classico soprannome di Casola, ce n’era sei o sette quando ero bambino. Dopo aver notato quel nome, mi capitò di aprire un file di una delle minuscole scenette scritte vent’anni prima. Non ho fatto altro che riscriverle usando come narratore quel Baldo Creonti. E buona parte del libro è venuta da sola. La voce di Baldo Creonti riusciva a mettere in fila i ricordi e i sentimenti che mi sembrava di aver provato in quegli anni. Io sono stato semplicemente lì ad ascoltarlo per qualche mese. A volte non mi sembra nemmeno di scrivere, ma di eseguire dei dettati». Hanno collaborato alla realizzazione di questo romanzo un gruppo di studenti dell’istituto Dehon di Monza che, con le loro insegnanti hanno partecipato a incontri e organizzato specifici laboratori. (p.gual)