L'ANALISI
30 Aprile 2023 - 20:21
Corre l’anno di grazia 1942: l’Europa intera è tartassata dal secondo conflitto mondiale. Isaac Asimov si trova nella sua stanza: davanti a lui, una voluta di fumo sortisce dalla sigaretta e c’è una macchina da scrivere. Il padre della fantascienza moderna ha battezzato il suo Giorno Della Creazione, le dita impregnate di tabacco sciorinano sulla tastiera, i martelletti sotto il telaio imprimono l’inchiostro sul foglio immacolato: finalmente vi fu luce (artificiale).
E appare per la prima volta la parola Robotica. La Robotica da Robota, nelle lingue slave (in russo rabotat: lavorare), termine con cui si fa riferimento alla condizione di lavoratore. È la scienza che studia la progettazione e l’impiego dei robot. Ma Asimov creò anche i suoi comandamenti: si figurò il robot come una mente pensante, con una sua dignità, capace di attuare tutte le principali attività cognitive. Asimov affida alla latta quella qualità che è proprio dell’Essere: l’intelligenza. Ma che se ne fa la latta dell’intelligenza? Ebbene, Asimov un’idea ce l’ha: nascono le tre leggi della robotica.
La prima: un robot non può recare danno agli esseri umani, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri umani ricevano danno. La seconda: un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, tranne nel caso che contrastino con la prima legge. Terza: un robot deve salvaguardare la propria esistenza, purché ciò non contrasti con la prima e la seconda legge.
Per anni le cose sono filate lisce: calma piatta sul fronte occidentale. I robot li si è costruiti, li si è educati e oggi ci spazzolano il pavimento come il migliore degli scopini. E se si avvicinano troppo al cane che sonnecchia, sono financo premurosi a sufficienza da allontanarsi alla chetichella. E pensare che era solo il ’54 quando Fredric Brown scriveva ‘La Risposta’, un breve racconto fantascientifico che per la sua brevità e il suo succoso significato possiamo riportarvi di seguito, con qualche opportuna potatura, sperando di cuore di non tediarvi troppo.
[…] Dwar Ev, s’accostò alla leva dell’interruttore generale: la leva che avrebbe collegato, in un colpo solo, tutti i giganteschi computer elettronici, di tutti i pianeti abitati dell’universo e il supercircuito da cui sarebbe uscito il supercomputer, un’unica macchina cibernetica racchiudente tutto il sapere di tutte le galassie. [...]
Dwar Ev abbassò la leva. Si udì un formidabile ronzio che concentrava tutta la potenza, tutta l’energia di novantasei miliardi di pianeti.[...]
Dwar Ev fece un passo indietro e trasse un profondo respiro.
«L’onore di porre la prima domanda spetta a te, Dwar Reyn».
«Grazie» disse Dwar Reyn. «Sarà una domanda a cui nessuna macchina cibernetica ha potuto, da sola, rispondere».
Tornò a voltarsi verso la macchina.
«C’è, Dio?».
L’immensa voce rispose senza esitazione, senza il minimo crepitio di valvole o condensatori.
«Sì: adesso, Dio c’è».
Il terrore sconvolse la faccia di Dwar Ev, che si slanciò verso il quadro comando.
Un fulmine sceso dal cielo senza nubi lo incenerì, e fuse la leva inchiodandola per sempre al suo posto.
Un gran bel racconto non è vero? Ben quindici anni prima della nascita dell’Arpanet, la prima rudimentale bozza dell’Internet.
Ed è qui che occorre introdurre al lettore ChatGPT. Ci eravamo abituati così bene ai robottini spazza-briciole e ai Siri e Alexa con evidente proclività alla schizofrenia! E invece no! È finita la pacchia: se per fortuna o disgraziatamente… saranno i posteri a decretare. Se qualcuno di voi si fosse fatto venire un crampo a furia di tenere il sopracciglio alzato, ebbene chiediamo venia, i vaneggiamenti cessano qui. Il 14 marzo OpenAI, l’associazione dietro cui si nasconde Elon Musk, croce e delizia di questa prima caotica frazione di decennio, ha rilasciato ufficialmente ChatGPT4.
ChatGPT, parlando potabile, sta per Generative Pretrained Transformer, cioè un’intelligenza artificiale capace di rispondere direttamente a quesiti sfruttando l’intera risorsa del sapere umano o di generare un vero e proprio testo, di mano sua, persino con uno stile preciso. Corrado Augias a Rebus, trasmissione preziosissima che va in onda la domenica tra le gozzoviglie della Venier e appena prima di Geo, ha chiesto a ChatGPT di comporre un sonetto dantesco riguardante proprio la paura dell’uomo nei confronti dell’intelligenza artificiale, e ChatGPT, nel giro d’una frazione di secondo, ecco che rigurgita una sfilza di endecasillabi piuttosto scialbi e monchi che ricordano alla lontanissima quelli del Sommo Poeta.
Ma tralasciando la qualità, si tratta pur sempre solo di un assaggio. Perché ChatGTP si sta evolvendo, impara, sì, impara! La versione .3, di novembre, ha aiutato ChatGPT a crescere e l’abbiamo aiutata noi, confrontandoci; noi, cioè non proprio noi, noi che scriviamo no, e forse neanche il lettore direttamente, cui non vorremmo destinare il fardello di una possibile catastrofe, ma insomma, noi. Ciò che certo più spaventa è che ChatGTP parla e scrive come un essere umano, tanto da renderla quasi impossibile da distinguere dalla massa. Ora, però, ChatGPT non è un racconto di Asimov, non sottostà alle leggi della robotica, anche se si dice differisca dalla concorrenza (perché non ce n’è solo una!) per una migliore irreprensibilità morale, come un piccolo Kant in versetti danteschi.
Conseguentemente, provare disposizioni di spirito correlabili con la tremarella, con un subbuglio di stomaco e del leggero sudore freddo è più fisiologico più si ha la possibilità di approfondire l’argomento. La pletora di esperti che si sono soffermati sulla questione ha partorito una serie di ammonimenti. Primo: l’Intelligenza artificiale, in galoppante evoluzione, rischia di rendere l’uomo inetto, incapace di profittare di tutte quelle qualità che coincidono con la sua unità di genesi.
Secondo: l’Intelligenza artificiale è una lama a doppio taglio, come qualsiasi strumento affidato all’uomo, già sappiamo benissimo lo userà contro di sé o contro il suo prossimo. Date a un pargolo uno schiaccianoci e lui ci frantumerà le falangi del fratellino. L’IA potrebbe essere — e già è — adoperata in ambito scientifico per far fruttare la capacità intellettiva del motore e individuare malattie altrimenti non diagnosticabili. Ma se è vero che con le radiazioni si fecero i raggi X e le lastre, è vero anche che si colpì al cuore il Giappone. A voi il giudizio finale.
Terzo ammonimento: l’Intelligenza artificiale è frattanto incapace della più banale e comune, e fondamentale, qualità umana: ChatGPT non commette errori, non potrebbe nemmeno volendo, perché ciò che riferisce è la somma del sapere umano tutto. A errare può essere l’uomo, non ChatGPT. Ma prendiamo un sospiro di sollievo, perché ChatGTP non è in grado di formulare proprie opinioni. Non ancora. Su queste avvertenze ci è destinato rimuginare, sperando di avere ancora molto tempo prima che l’abile spazzino non decida di eiettare fuori di casa il primo produttore di briciole, il nostro irreprensibile homo sapiens.
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