L'ANALISI
ADDIO FRANCESCO: IL FILOSOFO
22 Aprile 2025 - 05:25
CREMONA - Il filosofo e il Papa: nella foto che ritrae Mauro Ceruti insieme a papa Francesco non c’è solo un ricordo. Quella foto è segno di una prossimità che negli anni si è manifestata nei rispettivi pensieri, depositati nei loro testi e nei loro discorsi. Ciò che li ha accomunati e fatti incontrare è il comune tentativo di riconoscere le conseguenze della inedita complessità del nostro mondo, in cui, secondo l’espressione di Francesco, «tutto è connesso». Tutti siamo «sulla stessa barca»: è questa l’espressione con cui papa Francesco, solo in piazza San Pietro, in una notte di piena pandemia, riassunse lapidariamente la condizione dell’umanità intera, per indicare la necessità di sentirsi fratelli accomunati in uno stesso destino.
Questa è l’espressione con cui Ceruti ha voluto intitolare il suo piccolo ma illuminante libro in cui ha condensato le premesse e gli esiti del suo dialogo con il magistero di papa Francesco. Ed è proprio ancora questa espressione, ‘sulla stessa barca’, a essere la cifra di ciò che accomuna le encicliche di Francesco con i più recenti libri di Ceruti (‘Il secolo della fraternità’, ‘Abitare la complessità: la sfida di un destino comune’, ‘Umanizzare la modernità: un nuovo modo di pensare il futuro’).
«Gesuita che si è voluto chiamare Francesco. Uomo di potente cultura, umile fra gli umili. Uomo di preghiera, ma anche guida di una Chiesa ‘in uscita’, non a fare proselitismo ma a testimoniare il radicale vangelo della fraternità», così Ceruti disegna il profilo di Bergoglio. E continua: «Papa della misericordia, che si è presentato come ‘un peccatore, un peccatore perdonato’. Animato da una profondissima fede mistica, e nel contempo da un pensiero colto e coraggioso, racchiuso nel dittico straordinario delle encicliche ‘Laudato si’ e ‘Fratelli tutti’, che lo ha reso promotore indefesso di un nuovo umanesimo, di una coscienza planetaria, di una visione ecumenica e universalistica volta all’incontro e al riconoscimento del valore delle diversità, in un mondo che tende alla frammentazione e a scontri tragici».
Una fraternità che ci accomuna in uno stesso destino, di fronte alle grandi crisi del nostro tempo?
«Bergoglio è arrivato ‘dalla fine del mondo’ per essere il Papa che ha saputo mettersi nel cuore del mondo, trovandolo nelle ‘periferie’ del mondo. E da queste periferie è stato capace di leggere la drammaticità delle nostre crisi e, in modo profetico, laddove più appare impossibile, la possibilità e la necessità di nuovi orizzonti verso i quali orientare la speranza di umanizzare l’umanità».
E proprio con le encicliche Laudato si e Fratelli tutti l’urgenza di un nuovo umanesimo e della capacità di leggere il mondo in cui viviamo hanno trovato interessanti spunti e intrecci di riflessione col suo pensiero della complessità.
«Bergoglio ha colto le ragioni della crisi planetaria e la necessità di combattere il paradigma tecnocratico che ha finora dominato la globalizzazione dell’Occidente. Ha puntato l’attenzione sul fallimento dell’idea che il progresso segua automaticamente la locomotiva tecno-economica; sul fallimento dell’idea che il progresso sia assimilabile alla crescita, in una concezione puramente quantitativa delle realtà umane; sul fallimento del mito moderno del progresso materiale illimitato».
Un aspetto, quello del regresso nel progresso, su cui papa Francesco è tornato più volte.
«A quanti lo hanno accusato di pretendere di fermare irrazionalmente il progresso, ha risposto lucidamente che rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un’altra modalità di progresso e di sviluppo. E ha posto in primo piano l’esigenza di misurare la crescita in termini diversi da quelli puramente quantitativi, mettendo in gioco gli indicatori dello sviluppo umano integrale».
Qual è stato il ruolo di Francesco in questi anni?
«Francesco è stata l’unica grande coscienza planetaria a lanciare costantemente l’appello affinché l’umanità cambi rotta. Ha come pochi aiutato a riconoscere che il nostro è un mondo sempre più interdipendente, attraverso la globalizzazione tecnica ed economica, ma reso anche più fragile e vulnerabile da questi stessi processi e dove lo stesso futuro della specie umana è divenuto incerto. E ha indicato la rotta per produrre uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico».
E chiave di questo agire per resistere al paradigma tecnocratico è la fratellanza?
«Al centro della sua antropologia c’è questa idea, che ha sviluppato e condiviso con alcuni di noi: l’umanità deve sviluppare la coscienza di una fraternità universale, proprio a partire dal pericolo comune di autodistruzione globale che oggi lega tutti i popoli allo stesso destino; la fraternità è inscritta nella nuova condizione umana; oggi, per la prima volta nella storia umana, l’ecumene terrestre è divenuta realtà concreta. L’interdipendenza ci obbliga – ha scritto - a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune, per lo sviluppo di tutta l’umanità».
Questo sviluppo della nuova umanità per Francesco parte dai più deboli?
«Francesco ha compreso ‘l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta’, la cruciale connessione tra il degrado ecologico, la predazione della natura e la condizione marginale dei poveri di tutto il mondo, come due facce del sottosviluppo dello sviluppo e della globalizzazione economica. È per questo che con grande lucidità ha esortato a comprendere come ogni approccio ecologico debba integrare una prospettiva sociale che tenga conto dei diritti fondamentali dei più svantaggiati, perché ‘il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi’».
Quel fenomeno che lei chiama policrisi?
«Francesco ha avuto pienamente coscienza del fatto che la crisi ecologica è una ‘policrisi’, una crisi che intreccia molteplici crisi che si alimentano le une le altre, una crisi che, avendo le sue radici nell’antropocentrismo deviato, ‘è un emergere o una manifestazione esterna della crisi etica, culturale e spirituale della modernità’, che non ha saputo prevedere le conseguenze e gli effetti collaterali delle sue conquiste scientifiche e tecniche, fino a quando non ce ne ha reso coscienti ‘il gemito della terra’’».
Fraternità, attenzione al pianeta, consapevolezza di essere tutti sulla stessa barca. Oggi queste parole suonano come utopie o speranze infrante.
«La ‘Laudato sì’ è anche e soprattutto un contributo profondo e profetico alla ‘cultura necessaria’, ancora carente, per ‘cambiare rotta’. La coscienza ecologica, ha ammonito, deve avere come risvolto un cambiamento radicale nel sistema di valori della nostra civiltà, che conduca a un nuovo modo di abitare la Terra, diverso da quello disciplinato dal paradigma prevalente nell’età moderna, fondato sulla separazione dell’uomo dal resto del vivente e della natura, e sull’idea di un ‘uomo padrone e possessore della natura’, secondo la definizione di Cartesio divenuta paradigmatica della civiltà occidentale. La via del cambiamento indicata da Francesco comprende, al contempo, l’accettazione sia del ‘valore proprio di ogni creatura’, sia del ‘senso umano dell’ecologia’»
È questa l’eredità di Francesco?
«Proprio mentre sembra contraddetta dagli eventi, oggi più che mai dobbiamo capire il realismo di questa visione di Francesco. Non è una visione da anime belle. È la visione necessaria e realistica per non soccombere all’autodistruzione dell’umanità, dato il potenziale autodistruttivo globale delle armi nucleari e dell’attuale impatto umano sulla biosfera e sul clima. La profezia è tale perché rivela che c’è un possibile inedito, nascosto, dietro le cose. E di essa è stato testimone concreto Francesco».
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