L'ANALISI
In ‘Jazzy Christmas’ il musicista cremonese è anche produttore artistico
22 Dicembre 2015 - 14:40
Il Natale più jazz è quello che Paolo Fresu e il suo storico quintetto (e con la partecipazione di Daniele di Bonaventura) hanno confezionato per TukMusic.
L’album Jazzy Christmas vede il cremonese Roberto Cipelli impegnato non solo al pianoforte ma anche nelle vesti di produttore artistico insieme al trombettista di Berchidda. L’album è la registrazione del concerto tenuto a Sassari tre anni fa, una scaletta rigorosamente natalizia, ma anche ondivaga e poco scontata che lo stesso Cipelli ci racconta: «Il quintetto esiste ormai da trent’anni, e quando decidiamo di fare un disco, sono comuni le scelte che si compiono sul materiale da suonare. I due fondatori, io e Paolo, abbiamo pensato a quale potesse essere la scaletta. E anche in questo caso è stato così».
Ci sono brani della grande tradizione natalizia americana, ma anche pezzi sardi praticamente sconosciuti…
«I primi li ho scelti io in accordo con il resto del gruppo, quelli sardi, parte della raccolta Cantones de Nadale, composti da Pietro Casu, parroco e letterato di Berchidda, sono stati selezionati ovviamente da Paolo, molto legato a questi canti. Nei nostri dischi c’è sempre qualcosa che ha a che fare col nostro immaginario, e la scaletta di questo album naturalmente non fa differenza. La selezione sarda è molto rappresentativa dell’immaginario di Paolo, mentre gli altri pezzi lo sono del nostro, così come quello di Paolo: sono soprattutto brani che compaiono nei vecchi film natalizi, quelli che più leghiamo alla tradizione americana appunto. Il quintetto ha una caratteristica: con qualunque tipo di materiale viene a contatto, riesce rielaborarlo in un corpo univoco, coerente. E così è stato, perché se si scorrono i titoli si va da un tradizionale norvegese come Till Bethlehem, ad Adeste Fideles, dalla tradizione moderna americana alla Sardegna. Ci siamo chiesti se eravamo riusciti a fornire una rilettura dotata di senso di tutta quella musica, e la risposta ci è sembrata fosse convincente».
Lei è anche reduce dal concerto con Ornella Vanoni al Blue Note di Milano, il primo di una serie di concerti. Come è andata?
«Molto bene, suono in questo nuovo progetto chiamato Free Souls. Ornella è molto felice, e sul palco siamo in una formazione atipica per lei, priva di batteria. Non è uno spettacolo pop, ma una rilettura jazzistica di alcuni brani scelti nei quali noi improvvisiamo, senza compromessi».
Come sta il jazz a Cremona? «Dopo il festival di quest’anno sembra che più locali abbiano iniziato a concedere spazi per questo tipo di musica».
Moda o cambio di tendenza?
«È un discorso lungo e delicato. Cremona è città che vive di fasi alterne, per cui quando c’è un festival che nasce (o rinasce), il festival stesso diventa il polo d’attrazione di altre attività, per cui oggi si è più stimolati ad andare nei club dove si suona jazz. È anche vero che queste rinascite devono stabilizzarsi. Avevamo un festival jazz, fino a qualche anno fa, poi morto per mancanza di fondi. Adesso sembra che ci sia una ripresa e mi auguro che sia così perché ne abbiamo bisogno, e ne hanno bisogno i tanti musicisti cremonesi giovani che meriterebbero un palcoscenico, e ve lo dico da docente di conservatorio a Trento. Ogni anno sforniamo tanti musicisti giovani, molto in gamba, che però poi non hanno un palco su cui esibirsi. Quindi se c’è anche un ritorno di attenzione sui giovani e direi che va bene. Io sono direttore artistico a Nuoro, chiamo sempre giovani trovando un bilanciamento fra nuove proposte e nomi di grande richiamo per il pubblico».
Se le proponessero la direzione di una manifestazione jazz a Cremona?
«Ma io l’ho già a Nuoro, e mi occupa gran parte dell’anno! In questo momento direi di no, poi non so, se succedesse farei una riflessione».
Luca Muchetti
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