L'ANALISI
L’ufficiale-detective di Ben Pastor alle prese con cinque morti
03 Novembre 2014 - 16:03
Ben Pastor
‘La strada per Itaca’
Sellerio,
498 pagine, € 15
Cinque civili trucidati, forse da paracadutisti tedeschi, nella Creta appena invasa dalla Germania. Anno 1941: è il nuovo, spinoso caso su cui è chiamato a investigare Martin Bora, l’ufficiale-detective protagonista della maggior parte dei romanzi di Ben Pastor. E come d’abitudine nei libri di questa scrittrice — nata in Italia, trapiantata negli Usa, docente universitaria e saggista, appassionata di storia, archeologia e psicologia — la trama ‘gialla’ si accompagna a una indagine più profonda, quella nello spirito dei personaggi e nelle ferite della storia, tra dilemmi morali, conflitti di coscienza, tradimenti e slanci interiori. Emblema di queste lacerazioni è il protagonista, Martin Bora: intriso di senso del dovere fino all’estremo sacrificio, indossa la divisa tedesca ma è dilaniato tra la fedeltà al giuramento e la ribellione agli orrori del nazismo. A Creta Martin dovrà condurre un’indagine pericolosa e intraprendere un viaggio interiore con i propri ideali come unica bussola. La strada per Itaca è metafora del percorso verso la sfuggente verità sulla strage di civili, ma anche del desiderio di far ritorno a una casa, a una Patria sempre più lontana, forse irrimediabilmente perse nei ricordi del Bora fanciullo. L’isola, intrisa di mito e memorie, è la vera coprotagonista del libro, denso di suggestioni epiche. Creta, il Labirinto, Minosse e soprattutto Ulisse accompagnano Martin nel suo peregrinare tra cime assolate e ombre insidiose, una personale Odissea di dubbi e pericoli che condurrà alla soluzione del mistero ma non al raggiungimento di una impossibile pace interiore. Modellato sulla figura del colonnello von Stauffenberg, l’attentatore a Hitler dell’‘operazione Valchiria’, Bora è personaggio elegante, aristocratico, tormentato, un intellettuale oppresso dai demoni della storia e dell’anima. Ben Pastor fonde nel suo stile, colto e coinvolgente, la sensibilità europea e quella americana, cesellando personaggi e atmosfere che rimangono nella memoria. Le sue sono storie dall’ampio respiro, in cui il gioco degli specchi e dei rimandi si intreccia con la passione per tutto ciò che è chiaroscuro, frontiera, linea d’ombra. «Come è vero per i confini naturali, cioè che esiste sempre una terra di nessuno, mi rendo pienamente conto — spiega — di tutto ciò che vive e brulica fra due opposti: qui è il succo, la scintilla e il pungiglione abitano qui; ed è qui che come persona, scrittrice e studiosa preferisco passeggiare».
Mariano del Preite
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