L'ANALISI
29 Settembre 2025 - 12:51
L’abbraccio è una forma di conoscenza: due corpi che si incontrano, respirano allo stesso tempo, trasformano il silenzio in linguaggio. Nel romanzo “L’abbraccio” di Annalisa Rossana Porru , pubblicato nella collana “Gli Speciali” del Gruppo Albatros Il Filo , quel gesto diventa architettura narrativa e bussola emotiva. Ogni pagina nasce dall’idea che il contatto custodisca e metta in circolo una verità affettiva, che l’intimità dia ordine ai giorni e che la fiducia trovi misura nel ritmo condiviso. La musica apre la porta, l’ascolto tiene il passo, la scrittura accompagna senza invadere. I protagonisti Fabio e Viola avanzano dentro questa geometria del sentire insieme agli altri personaggi, perché l’abbraccio riguarda tanto la coppia e la comunità , quanto la memoria e il desiderio: riguarda l’identità che prende forma quando il cuore impara a stare a tempo con un altro cuore. Il ritorno di Fabio e Viola mette a fuoco il passaggio di stato dall’iniziazione del romanzo precedente, “Un tempo per noi”, a una maturità che non coincide con la rinuncia. La storia comincia dove spesso altri testi arretrano, nel punto in cui la passione chiede struttura. Cagliari emerge come città-orchestra, capace di distribuire i timbri nei diversi registri dell’esperienza: il Poetto e i baretti come percussioni leggere, le chiese come archi gravi, la luce marina come fiato continuo che contiene e accompagna, il Conservatorio come metronomo che detta il passo anche quando la scena domestica chiede lentezza. Non si leggono solo strade, si ascoltano interni, si riconoscono le modulazioni del vento che allineano i gesti. La città rende credibile l’intimità , perché toglie al privato l’isolamento e lo reimmette in una circolazione di segnali che non smettono di tornare. Lo sfondo cagliaritano non è un panorama, è la colonna sonora del romanzo, una funzione narrativa al pari dei personaggi. La poetica dell’abbraccio lavora proprio su questa idea di armonia come conquista. Ogni equilibrio chiede esercizio, ogni pacificazione scaturisce da una pratica dell’ascolto più che da una resa. L’amore non è un oggetto che si espone in salotto, è un verbo transitivo che pretende moti e movimenti. Il libro insiste su questa disciplina mite del sentimento, che permette di tenere insieme promessa e ferita, inclinazione e responsabilità, contatto e distanza. L’abbraccio diventa così una postura cognitiva , un modo di conoscere e di conoscersi, una forma che consente di abilitare l’altro senza cancellarsi, di attraversare gli scarti dell’umore e del destino senza perdere la direzione. La scelta di far passare la conoscenza attraverso l’intimità dà alla sensualità una funzione conoscitiva . Non esiste dissociazione tra eros e parola, tra mani e sguardi, tra musica e respiro. La scena privata non si vergogna del proprio statuto, perché sa che la verità non è un concetto astratto e abita nel dettaglio. Il corpo dell’altra persona è un testo che si legge senza fretta, la cui cura non è cornice morale, è pratica della bellezza. Il romanzo non elide le increspature del desiderio . La tentazione di Fabio per un’altra donna, o il trascolorare dell’ammirazione in attrazione, non viene scritto come cedimento melodrammatico, ma come test di tenuta del linguaggio condiviso. Qui il vocabolario della coppia si amplia, perché si passano da una mano all’altra parole difficili, e le si tengono finché non smettono di bruciare. La gelosia non è il tribunale dell’io, è una prova di verità che rende visibili i margini, li nomina e li riallinea, spostando la responsabilità sul terreno dell’adulto. L’effetto è quello di una partitura che contempla i dissonanti per lavorare un’armonia più densa, capace di includere. La musica guida tutto. La playlist che l’autrice suggerisce ai lettori in apertura funziona da patto d’ascolto: Schubert e “Serenade”, le canzoni popolari, l’icona di “Sailing” come rito collettivo e autorappresentazione di un gruppo che balla insieme e si riconosce, Paolo Fresu e Marisa Sannia come coordinate sentimentali di un’educazione sarda al sentimento del suono. La musica vibra come struttura di montaggio e ordina i passaggi emotivi anche quando la pagina non nomina le note. La serata in cui Fabio, spinto dagli amici, imbraccia la chitarra e intona Rod Stewart dice la stessa cosa: la comunità trova sé stessa perché trova un brano condiviso , e poco dopo l’intimità si ricompone nel giro di accordi che tutti conoscono. La voce che racconta adotta una regola di ingaggio limpida: coinvolgimento e controllo insieme. Leggere significa concedersi la tregua dall’io, e allo stesso tempo ritrovarvi sé stessi in una forma più chiara. La prosa accoglie questa consegna e la porta dentro ogni scena, perché non rinuncia alla temperatura del sentire e resta attenta a non saturare. Il ritmo rimane musicale anche nello stile , con frasi che prendono e rilasciano fiato, e con inserti lirici che non trasbordano, si ritirano quando basta. L’effetto è una leggibilità che non rinuncia alla profondità. Amici, familiari, bambini, compongono il coro di una comunità che si riconosce nei riti, si specchia nella festa e sa condividere persino il silenzio. Anche questo è abbraccio: stare vicini senza spossessarsi, mettere in comune il gesto senza esibire la confessione, lasciare che l’intimità trovi un suo rituale pubblico che non tradisce. La comunità qui non è recinto, è spazio aperto in cui ognuno porta il proprio timbro e lo offre all’insieme. Nelle pagine finali, quando l’alba entra nelle stanze e la casa sembra respirare insieme ai protagonisti, si avverte la tesi più netta del libro: l’amore adulto non coincide con la resa né con la retorica dell’eroismo, bensì con la pratica quotidiana dell’attenzione . Ogni figura del romanzo conferma questa direzione, anche nei brani che attraversano la stanchezza o il rammarico, perché la cura modula il dolore e lo riorienta. L’abbraccio tiene insieme tutto questo, perché non chiede al tempo di essere immobile, chiede ai corpi e alle parole di restare accordati. La collocazione dell’opera, dentro il catalogo e dentro la tradizione recente del romanzo sentimentale italiano, si definisce proprio qui: non come variazione di un repertorio prevedibile, ma come proposta di una disciplina affettiva che coniuga libertà e ascolto senza opporle. Non c’è idealizzazione della coppia, non c’è cronaca di scosse casuali, c’è il riconoscimento che l’identità accade quando si riesce ad abbracciare senza opprimere e ad avvicinarsi senza soffocare . La continuità con “Un tempo per noi” permette di leggere “L’abbraccio” come secondo movimento di una suite, con la stessa tonalità affettiva e un’orchestrazione più ampia, attenta alla rete, ai contrappunti, ai ritorni di tema. Il lettore che prenderà posto in platea con la musica accesa riconoscerà il gesto e capirà come il racconto si avvita intorno a un’idea semplice e ardua: amare è un’arte del tempo, e il tempo migliore si ottiene solo quando si suona con altri, accettando che il proprio assolo abbia senso dentro l’ensemble. Questo libro allora funziona come quelle notti d’estate in cui un gruppo trova una canzone comune e la canta piano per non svegliare nessuno, e intanto ognuno sveglia quello che tiene dentro di sé. È un romanzo che sposta la domanda da “quanto dura” a “come si custodisce”, e affida la risposta a gesti minimi. L’abbraccio, in questa pagina, è la forma che insegna a stare al mondo senza urtare e senza farsi scivolare via.
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