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Pravettoni: «Così il viaggio della cura può abbracciare la vita»

Affrontare la terapia oncologica non è solo una battaglia contro la malattia, ma un percorso di riconquista di sé e dei propri spazi. Il valore della prossimità

La Provincia Redazione

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05 Novembre 2024 - 05:10

Così il viaggio della cura può abbracciare la vita

Ogni giorno incontro uomini e donne che affrontano un percorso oncologico. Ogni storia è unica, ma c’è un filo comune che attraversa tutte le loro esperienze: la capacità di adattamento e il bisogno di sentirsi seguiti non solo tra le mura di un ospedale, ma anche nel calore dei luoghi che chiamano casa. E allora che cosa succede quando, anziché un luogo lontano e impersonale, la cura avviene vicino casa, nel proprio territorio? ‘Portare fuori’ le cure oncologiche o ‘trasferire’ parte di esse dall’ospedale alle strutture sanitarie locali rivoluziona l’esperienza stessa della malattia, non solo sul piano pratico ma anche – e forse soprattutto – su quello psicologico e sociale.

Essere accolti in una struttura familiare e vicina, piuttosto che in un ambiente che ricorda costantemente la malattia, rappresenta per molti pazienti un importante sollievo, significa mantenere un po’ di normalità, aiuta a preservare una dimensione quotidiana che nella malattia tende a scomparire. E così, il territorio si fa simbolo di appartenenza, un ponte che collega la vita ‘di prima’ alla realtà della cura. In una situazione di vulnerabilità estrema, poter accedere a un luogo neutro in cui ricevere il trattamento evita al paziente di sentirsi ‘sempre malato’ e può influire positivamente sul suo benessere emotivo. Insomma, spostare il setting terapeutico significa restituire dignità e spazio alla vita del paziente, sottraendo alla malattia un po’ del suo peso.

Il nostro sistema sanitario sta compiendo passi importanti in questa direzione con la delocalizzazione delle cure oncologiche: parliamo di un nuovo modello che non è privo di sfide, anzi, ma apre uno spazio di speranza. Una cura che non si misura solo in termini di risultati clinici, ma che costruisce intorno al paziente un ambiente di continuità, accoglienza e vicinanza. Per molti pazienti, potersi sentire seguiti anche lontano dai grandi centri di cura rappresenta un cambio di paradigma che permette di vivere con maggiore serenità la propria condizione e, allo stesso tempo, crea un ponte di fiducia e collaborazione tra ospedali e territorio.

Non dimentichiamo che la cura oncologica non finisce al termine dei trattamenti. Anzi, in molti casi, è lì che inizia una nuova fase: quella del recupero fisico e psicologico. Ho visto pazienti affrontare con incredibile forza la sfida del cancro, ma ho anche visto la difficoltà di mantenere quel coraggio una volta usciti dall’ospedale, tornati alla quotidianità, spesso senza il supporto di una rete di assistenza immediata. «È come se fossi stata sospesa per un po’, qui in ospedale, in un limbo. Ma ora devo tornare a essere moglie, madre, lavoratrice».

In queste parole possiamo scorgere l’importanza di estendere le cure al di fuori del contesto ospedaliero, portando il sostegno psicologico, medico e umano direttamente sul territorio, dove i pazienti vivono. Portare i servizi oncologici e psicologici sul territorio, può rappresentare per i pazienti un cambiamento straordinario, significa continuare le terapie vicino a casa, avere accesso a psicologi, infermieri e assistenti nelle cliniche di quartiere, negli ambulatori o addirittura a domicilio, può creare una continuità di cura che è cruciale per il benessere complessivo dei pazienti.

Lo sappiamo, la sfida non è più solo quella di trovare terapie efficaci, ma di integrarle in un contesto di cura che possa rimanere al fianco dei pazienti anche nei momenti di apparente tranquillità o durante la fase post-trattamento. Il viaggio oncologico non è solo una battaglia contro la malattia, ma un percorso di riconquista di sé, dei propri spazi, della propria vita. È la possibilità di non essere costretti a scegliere tra essere pazienti o essere donne e uomini, ma di poter essere entrambi, con dignità e forza.

Non stiamo parlando unicamente di necessità pratiche, ma di un atto di rispetto verso la persona che affronta il cancro, perché la guarigione, quella vera, è un processo che richiede tempo e un sistema di cura che vada oltre i confini dell’ospedale. Questi nuovi percorsi non eliminano la necessità di strutture ospedaliere di riferimento, ma li affiancano in modo flessibile, con un’attenzione nuova alla qualità di vita dei pazienti, perché parlare di ‘paziente al centro’ non può restare solo un modo di dire, significa erogare servizi di qualità in tempi e modi adeguati nel rispetto delle aspettative e dei bisogni del paziente e dei suoi caregiver.

Significa restituire al paziente qualcosa di inestimabile: la possibilità di condurre una vita che assomiglia, per quanto possibile, a quella di prima. Lontano dalle mura degli ospedali e dai lunghi spostamenti, il paziente si riappropria di piccoli momenti di normalità che spesso diamo per scontati, ma che fanno una differenza enorme. E grazie alla delocalizzazione il cammino del paziente non si ferma, cambia ma non si ferma, diventa parte della vita quotidiana, della comunità, della rete di relazioni che lo circonda, con un impatto psicologico positivo che va ben oltre la cura in sé.

Anche se il tumore resta una presenza costante, questa normalità allargata aiuta a preservare una parte della propria identità, mitigando lo stress e la pressione psicologica della malattia. Stiamo parlando di un sistema sanitario che non si limita a rispondere al bisogno di salute, ma valorizza il benessere complessivo della persona, aiutandola a gestire la malattia senza rinunciare a vivere. Ecco perché portare le cure oncologiche fuori dall’ospedale e dentro la vita quotidiana è uno dei più grandi progressi che possiamo offrire ai nostri pazienti, perché non significa solo rendere i trattamenti più accessibili, ma ci dà l’opportunità di offrire loro uno spazio di ‘respiro’ in cui riscoprire il gusto delle piccole cose e delle relazioni. Perché la guarigione non riguarda solo il corpo, ma anche l’anima, e si nutre della continuità e del calore di una comunità che supporta i pazienti nel loro percorso. Ovunque essi siano.

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