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6 maggio 1980

La Jugoslavia in lutto per la morte del maresciallo Tito

Nell'ambasciata iraniana di Londra uccisi due ostaggi e tre terroristi

Gigi Romani

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lromani@laprovinciadicremona.it

06 Maggio 2016 - 04:00

La Jugoslavia in lutto per la morte del maresciallo Tito

LUBIANA - Ieri pomeriggio (4 maggio) alle 15,05 è cominciato in Jugoslavia il « dopo Tito ». A quell'ora il cuore del vecchio maresciallo cessava di battere dopo quattro mesi di lotta. Tutto però era pronto all'avvenimento. In effetti lo stesso Tito aveva cominciato a preparare i suoi successori al giorno in cui non sarebbe stato più alla guida della nazione. La formula delle presidenze collegiali, anche se può apparire complicata, è stata fatta su misura per la Jugoslavia. Il suo principale compito è non solo di bloccare l'eventuale ambizione di singoli di diventare dei « nuovi Tito », ma anche e soprattutto di preservare l'assoluta parità dei popoli jugoslavi per garantire l'unità del Paese. Personaggio che già in vita era stato coronato dell'aureola della leggenda, Tito è giustamente considerato ''padre della patria'' e tale resterà nella storia della Jugoslavia. Grazie a lui il Paese è riuscito a superare la secolare arretratezza, aprirsi verso il progresso e trovare una soluzione allo scabroso problema nazionale, a mantenere l'indipendenza e a vivere una nuova esperienza sociale, quella dell'autogestione. Così oggi la popolazione di Lubiana e di quasi tutta la Slovenia ha dato l'addio al suo Presidente con una civilissima, ma anche commossa e commovente dimostrazione di affetto e di fedeltà. Forse soltanto oggi si è potuto capire — al di là di ogni retorica — quanto fosse radicato nel cuore degli sloveni il mito del grande «Stari », del Grande Vecchio, morto a quasi 88 anni nel Centro clinico dopo 121 giorni di quasi ininterrotte atroci sofferenze.


LONDRA - E' durato cinque giorni e mezzo l'assedio dell'Ambasciata iraniana a Londra, terminato questo pomeriggio con l'Irruzione del reparti speciali dell'Aeronautica britannica (SAS) dopo la esecuzione di due dei ventuno ostaggi rimasti nella rappresentanza diplomatica. La vicenda era cominciata mercoledì mattina con l'irruzione nell'Ambasciata iraniana (una palazzina di cinque piani nell'elegante quartiere rii Kensington) del commando armato, che aveva catturato il poliziotto britannico di guardia all'esterno della rappresentanza diplomatica ed altri 25 ostaggi (alcuni dipendenti dell'Ambasciata ed altre persone che si trovavano in quel momento nell'ufficio visti). I separatisti del Khuzistan chiedevano la liberazione di 91 compagni imprigionati dal govemo iraniano ed un aereo a disposizione per lasciare incolumi Londra, minacciando in caso contrario di far saltare in aria l'ambasciata con tutti gli ostaggi. la polizia britannica adottava verso i membri del commando un atteggiamento morbido, facendo piccole concessioni nella speranza di ottenere il rilascio di più ostaggi possibile.

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