L'ANALISI
03 Febbraio 2021 - 07:00
E se l'artigiano non era soddisfatto di quello delle cantine padronali, aveva diritto a un ulteriore compenso in denaro
Nei tempi andati (ma basta affacciarsi indietro di pochi anni), possiamo ricordare come il falegname, il fabbro, e tutti gli artigiani che venivano in casa nostra a rimettere a posto una persiana od una ringhiera, oltre alla mercede che gli spettava, veniva regolarmente gratificato d’un bicchiere (o due) di vino.
Oggi l’abitudine è caduta in disuso almeno nel maggior numero dei casi ed i rapporti intercorrenti fra le parti hanno assunto ben diverso tono.
Il bicchiere di vino del resto, non era soltanto un atto di cordialità verso il lavoratore, ma nasceva da una tradizione che faceva di quello stesso atto una mercede fissata, catalogata e ratificata dagli... organi sindacali del tempo!
Infatti l'architetto cremonese Alessandro Capra (vissuto tra il ‘600 ed il ‘700) nel suo trattato «La nuova architettura civile e militare - divisa in due tomi» ed uscita a partire dai primi decenni del XVIII sec. in numerose edizioni (tutte diligentemente corrette ed accresciute come ci assicura l'autore) dedica all'argomento un capitoletto del suo volume.
«Ricordo — dice il Capra — che a Cremona, e sul Cremonese si usa dare il vino bisognevole a tutti li sudetti Artefici, cioè Muratori e Marengoni per il tempo dell'opera loro oltre il prezzo statuito.
«E s'averta, che per una opra qual sii stimata vale 24 giornate... bisogna dare una Brenta Cremonese di Vino, che vuol dire tre boccali da Osteria di Vino per ogni giornata...
«E così, se per esempio un Muratore avrà poste in opra mille pietre con calcina, e sii apprezzata tal'opra giornate n. 4 e mezza, se gli dovranno dare boccali n. 13 e mezzo di Vino.
«È similmente, se per esempio un Marengone avrà fatto una porta distesa di sei quadretti, e sia stimata una giornata, se gli devono boccali n. 3 di Vino.
«Ma non volendo tal'uno dare il Vino, o perchè ne ha solamente per il bisogno della sua Famiglia, o per non soggiacere a questo fastidio, o per non sentire i lamenti intorno la qualità di esso, può soddisfar con denari, giusta il prezzo corrente del Vino puro, su la publica Piazza.».
Ma il Capra si preoccupa anche di scoprire quale sia l'origine dei principali «errori» commessi dai muratori e «marengoni» del suo tempo: e li scopre, in primo luogo, proprio negli obblighi sindacali, o meglio nella obbligatorietà del pagamento delle... «marche associative» dell'epoca!
«... i Garzoni da Conca — egli osserva —, come sanno impastare la malta, e la calcina, danno di piglio alla Cazzuola, or per nettar la Conca, or per riunir la malta, o calcina sul muro, che non cava, overo per altra simile funzione; quand’ecco certi del mestiere gl'osservano, e fra pochi giorni li costringono a pagare la solita porzione de' Muratori, chiamato Paratico e se qualch'uno d'essi recalcitra li minacciano anche di farlo carcerare».
Divenuti a forza, da garzoni che erano, muratori, essi crescono d'autorità e di pretese e colui che ieri portava secchio e zappa «oggi lo vedete in prosopopea col martello, e riga con scure, e cazzuola, sega e carniere alle spalle». Costretto in fondo a fingersi capomastro «s'attribuisce poi l'eccellenza d'Architetto e pretende in tutti i modi d'entrare nel collegio degl'Architetti e Ingegneri», il che accade anche a colui cui capitò una volta di fare un «cavicchio» o di mettere «un piede ad una scagna usata».
E queste — conclude il nostro conterraneo settecentesco — «... sono ingiustizie, disordini, e mostruosità da non tolerare: perchè sono la radice in fatti di mille errori e di gran detrimento e rovina al pubblico».
È proprio il caso di tirarne la morale, oppure essa non si manifesta da sé, adattando al nostro tempo le sempre vere considerazioni di Alessandro Capra «Architetto e Cittadino Cremonese»?
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