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24 dicembre 1961

Natale in trincea

Natale in trincea

Annalisa Araldi

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aaraldi@publia.it

24 Dicembre 2019 - 07:00

Natale in trincea

1941:… Quell'anno Don Mazzoni non celebrò la Messa

Anche i bersaglieri del «Terzo» speravano di passare il Natale da cristiani. Il cappellano del reggimento, l’eroico don Giovanni Mazzoni, aveva promesso di venire al «kolkoz» a celebrare la S. Messa. I bersaglieri trascorsero la vigilia preparando il pranzo natalizio; niente di straordinario, intendiamoci, solo qualche cosetta in più del solito rancio: da parecchie settimane si accantonava parte dei viveri per meglio festeggiare la ricorrenza.

Il 18° battaglione del «Terzo» aveva occupato Jwanowskj il 6 dicembre 1941 e lo presiedeva tenendo la linea con uno schieramento quasi circolare. Il piccolo paese di Jwanowskj era un punto strategico assai importante, in quanto costituiva il capo saldo più avanzato di tutto il fronte tenuto dai soldati italiani.

Tormenta e neve, freddo e ghiaccio, ma i bersaglieri facevano buona guardia. Non passava notte senza che pattuglie russe in tuta bianca sferrassero attacchi per assaggiare le forze e la resistenza delle nostre linee. Sembrava un gioco: attacchi di disturbo e poi subito ripiegamento. Ma un gioco che non concedeva riposo e dava tremendamente ai nervi. Quando non erano le pattuglie era l'artiglieria, erano i maledetti mortai che tempestavano le posizioni italiane di Jwanowskj.

Soprattutto per questo snervante disturbo i bersaglieri speravano di passare almeno il Natale in relativa tranquillità. Impossibile che i russi — essi dicevano — attacchino proprio per Natale anche se, con l'altoparlante, ci hanno minacciati di una brutta fine proprio per quel giorno.

Ma i russi furono di parola. Alle ore 5.40 del 25 dicembre, dopo una notte di insolita calma, l'attacco si preannunciò col provocante schioppettio di pallottole traccianti di armi automatiche. Poi, un crescendo di fuoco: fucileria, colpi di mortaio, sibili di artiglieria. Si capì subito che non era il solito «assaggio». Un battaglione di bersaglieri doveva difendersi contro una forza dieci volte superiore, lasciata a travolgere il caposaldo di Jwanowskj per poi slanciarsi di sorpresa sull'unica strada asfaltata della zona e così tagliare ed annientare 1’intero schieramento.

Atti di coraggio e di bravura si susseguirono su tutto il fronte, ma i russi, sia pure lentamente e a caro prezzo, avanzano da ogni parte costringendo, a mano a mano, i soldati italiani a ritirarsi sulle posizioni di riserva.

La radio campale trasmette appelli sempre pia stringenti:
«ORE 10: le condizioni mio battaglione si stanno facendo critiche alt provvedere». I feriti e i morti aumentano continuamente ed il cerchio intorno a Jwanowskj preme sempre più.  
«ORE 10,21: Urgente -  Rappresento che mia situazione sta facendosi disperatissima alt avuti molti morti et moltissimi feriti tra cui ufficiali et comandanti compagnia alt batteria esaurito munizioni et pure cannoni anticarro alt nemico sta premendo mia destra et centro alt mortai nemici tempestano mia posizione alt urge assolutamente provvedere».  

Alle ore 14,05 il maggiore riceve ordine di tentare una sortita verso Mikajlowskj, ed è questa l'ultima comunicazione: un colpo di mortaio distrugge la radio.

Il «kolkoz» è staccato dal paese di un centinaio di metri e la strada è controllata dal nemico. Bisogna avanzare a sbalzi, camminando carponi, strisciando sulla neve. Ad ano ad uno i bersaglieri, stremati, feriti, si riuniscono nella grande stalla senza porte, senza serramenti e si accasciano sulla paglia e sulla neve. Ormai non aspettano che la morte. Come è possibile uscire dal «kolkoz» e raggiungere Mikajlowskj? Quattro chilometri da percorrere indifesi, sotto il tiro dei russi.

Ma verso le 16, all'improvviso, il cielo si oscura. Neve e tormenta formano una densa nube che occulta gli italiani.

È la Provvidenza che interviene.

Il maggiore ordina lo sganciamento. Uscendo dalla finestra, ad uno ad uno, i bersaglieri si sgranano in lunga fila indiana: sono circa 200 uomini che si sorreggono a vicenda. Si ode solo il fischio del vento e qualche lamento di ferito grave che viene trascinato a stento dai commilitoni.

A notte si raggiunge Mikajlowskj. Qui altri soldati italiani hanno combattuto tutto il giorno e ancora combattono. I superstiti del battaglione di Jwanowskj devono riprendere le armi e per tutta la nette e fino alle ore 11 del giorno di Santo Stefano, quando il nemico, molto provato, fallito il suo piano strategico, inizia il ripiegamento sulle posizioni da cui, baldanzoso, era partito nelle prime ore del giorno di Natale.

Contro forze preponderanti i bersaglieri del col. Caretto — che cadrà combattendo sette mesi dopo conquistando la medaglia d'oro — hanno sostenuto l'urto di una intera divisione 

I bersaglieri rioccuparono Jwanowskj, ma più nessuno dei feriti che v'erano rimasti fu ritrovato vivo.

In quella tragica giornata di Natale don Mazzoni non celebrò la S. Messa. Egli si immolò insieme ai suoi bersaglieri, meritandosi la medaglia d'oro. Con il sottotenente Vidoletti — altra medaglia d'oro — guidò la schiera di tutti i Caduti che in quel Santo giorno salì al Cielo.  

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