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1 novembre 1975

Gli scomparsi paesi casalaschi

Annalisa Araldi

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aaraldi@publia.it

01 Novembre 2018 - 07:00

Gli scomparsi paesi casalaschi

Nel corso dei secoli il Po, fonte di vita per i centri situati sulle sue rive, si è tramutato spesso in artefice di morte e distruzione per questi stessi abitanti, straripando e allagando, erodendo e distruggendo. Nella nostra zona soprattutto si sono ripetutamente verificate queste catastrofi; il fiume ha spesso minacciato i territori di Martignana, Casalmaggiore, Fossacaprara, Vicobellignano, Viadana.

Questi centri ritiravano via via le loro case verso l'interno, mentre il Po continuava ad ingoiare terreni, mutando il suo corso.

Ma altri paesi sono stati maggiormente soggetti alla furia del fiume. E' questo il caso di Portirolo, nel territorio viadanese, distrutto dal Po. Per quanto ci riguarda, nel territorio casalasco i centri che devono la loro fine al fiume sono Cella, Barcello, Casale de' Ravanesi, Scurdo e Gurgo.

Dall'antico paese denominato Cella attualmente non resta traccia, come degli altri che hanno subito lo stesso destino.

I documenti lo menzionano solo fino ad una certa epoca e, come accade spesso, si tratta per Io più di documenti religiosi. In questo caso particolare sono relazioni vescovili, redatte in occasione di visite che di tempo in tempo il vescovo di Cremona o i suoi vicari compivano attraverso la diocesi, visitando tutte le chiese, descrivendo il loro stato e riportandone le rendite.

Ecclesiasticamente Cella era sottoposto alla giurisdizione del vicariato di Casalmaggiore; dipendeva quindi dall'arciprete casalasco, da cui riceveva l'olio santo e che nominava il reggente della chiesa del paese.

II paese era anticamente situato sulla riva sinistra del Po e faceva parte del territorio di Casalmaggiore. Poi in seguito alle numerose erosioni compiute dal Po a danno dell'agro casalasco si trovò saldato alla sponda parmigiana per la deviazione del corso del fiume.

In una carta topografica eseguita dal cremonese Antonio Campi nel 1583 Cella è situata sulla sponda destra del Po.

Il suo distacco dalla sponda casalasca deve quindi collocarsi anteriormente a questa data.

La giurisdizione di Casalmaggiore si estese por un corto periodo anche ad una vasta zona sulla destra del Po. dirimpetto alla città, come afferma lo storico casalasco Romani, il quale vi include pure i Mezzani, ed in particolare il Mezzano de' Rondoni. Questa grande estensione di territorio casalasco si trovò saldata alla sponda parmigiana nella seconda meta del XVII secolo.

Ben presto questi territori furono aggregati allo stato di Parma. Tuttavia Casalmaggiore mantenne per lungo tempo il diritto di attraccare i suoi mulini alla sponda destra del fiume, il cui alveo era di completa pertinenza casalasca. Tale diritto fu riconosciuto dai parmigiani fino al 1737, quando rivendicarono il possesso della sponda, appartenente ai casalaschi «per un tratto di 18 braccia». Sulla materia della controversia interviene il Senato di Milano, chiamato in causa da Casalmaggiore. Ma con il tempo la città perde la sponda destra del Po, forse perchè per la scomodità della sua ubicazione al di là del fiume e la sua difficile difesa, in seguito ai continui art tentati dei parmigiani, fu abbandonata dai casalaschi.

L'esistenza di Cella coincide dunque con l'epoca in cui Casalmaggiore godeva di un più vasto diritto sui territori staccatisi dalla sua sponda.

Nei primi anni del 1600 Cella contava 140 abitanti, riuniti in venti famiglie, era fornito di una chiesa, ed è confermata la sua ubicazione sulla destra del Po e la sua dipendenza, almeno in materia ecclesiastica, da Casalmaggiore.

Nei documenti si legge che la chiesa, intitolata a S. Pietro, era piccola, ma pure sufficiente ai bisogni del paese.

Essa era costruita in una sola navata, con un tetto basso e di dubbia solidità, come pure poco solidi erano i muri.

La chiesa non era consacrata, non vi si conservava il sacramento «a causa della povertà dogli abitanti», ed era priva di sacrestia.

Il titolare della chiesa era don Angelo de' Tei, appartenente all'ordine benedettino, che ne aveva il diritto di nomina. Ad essa era legata una dote di ottanta pertiche di terreno, poste nel territorio di Cella, il cui reddito risultava di quaranta scudi d'oro.

La situazione del paese non doveva essere delle più floride, stretto come era dai territori parmigiani e dal fiume.

L'unica attività doveva essere data dall'agricoltura e da quei mulini che i casalaschi tenevano attraccati alte sua sponda. La vita certamente scorreva monotona, chiusa completamente all’interno del piccolo paese. Dell'arretrata organizzatone sociale di Cella si fa quasi sempre menzione nei pochi documenti che ho ricordato.

In un documento del 1604, che probabilmente si rifa ad uno antecedente della fine del XVI secolo, la chiesa di S. Pietro di Cella non appare più fra quelle spettanti al vicariato di Casalmaggiore, e perciò dovette esserne stata staccata in precedenza.

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