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Fra storia e memoria

Cremona. Alle origini del cinema in città

Graziella Baldaro racconta le vicende dell’Italia e del Corso

Betty Faustinelli

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06 Agosto 2014 - 11:11

Cremona. Alle origini del cinema in città

CREMONA — I ricordi di casa di Graziella Baldaro, figlia di Anita Calza e Luigi Baldaro, si legano alla memoria cinematografica della città.
«La storia cinematografica di casa parte dai miei nonni —racconta Graziella Baldaro, insieme al marito Francesco Camurri per anni ai vertici dell’Agis —. Mio nonno Dino, originario di Rivergaro, e mia nonna Maria aprirono il primo cinema di Milano. Mio nonno era uno che sapeva fiutare il futuro, condusse l’attività cinematografica insieme a mio zio Sergio, guardando sempre avanti. Mia mamma Anita mi raccontava che quando i suoi genitori si trasferirono a Cremona inizialmente gestirono un’arena estiva in piazza Marconi. So che tentarono di gestire un cinematografo al Filo, ma poi la cosa non andò in porto ». La svolta avvenne nel 1915 con la nascita del cinema Italia.
«Il Cinema Italia fu il primo edificio, in Lombardia, progettato esclusivamente per attività cinematografica — spiega Baldaro —. Il Ponchielli, il Politeama, il Filo facevano cinema, ma non erano spazi deputati all’arte in celluloide. Mi ricordo un ampio ingresso in marmo, uno scalone che portava in galleria; al piano superiore c’erano degli appartamenti, non solo quello della mia famiglia
. A pian terreno una latteria e un negozio di modista. Mio nonno nel pensare al suo cinema aveva ideato anche una sorta di aria condizionata diremmo oggi, dei finestroni che si aprivano con delle manovelle per cambiare l’aria, nei cinema si fumava, si entrava non necessariamente all’inizio della proiezione, era uno spazio di socializzazione e di divertimento. C’erano posti con prezzi diversi, ricordo che le prime file avevano prezzi bassi e un ingresso a parte. Mia mamma mi raccontava che a volte andava lei a suonare il piano che faceva da accompagnamento alle proiezioni. Erano gli anni del cinema muto». «Per me il cinema Italia era una seconda casa — co ntinua —. Andavo a scuola al Capra e abitavo in piazza Gallina. I miei non volevano che andassi a casa da sola e allora mi fermavo al cinema ad aspettarli vedendo e rivedendo i film che si proiettavano. Il cinema era un rito sociale, l’unico divertimento, lo spazio dove incontrarsi e sognare. Questo fino alla metà degli anni Settanta del secolo scorso». Dino Calza si occupava della parte amministrativa, mentre il fratello Sergio della programmazione vera e propria. «Nel 1960 aprimmo il cinema Corso —continua Baldaro —, la sala fu disegnata e progettata da Adolfo Calciati. Nel giardino del palazzo dei conti Calciati c’era già un’arena, il progetto la trasformò in un cinema vero e proprio.
Ricordo che potemmo aprire il Corso grazie alla licenza cinematografica passataci dal Ponchielli. La stessa cosa accadde quando all’i nizio degli anni Novanta chiudemmo il Corso, la licenza di proiezione fu data a Leopardi per riaprire agli inizi anni Novanta l’ex Roxy, divenuto poi cinema Tognazzi». Le due sale — l’Italia e il Corso, appunto —seppero attraversare le crisi dall’avvento della radio su cui l’arte cinematografica si rifece col sonoro, sulla nascita della tv a metà degli anni cinquanta catalizzò l’atte nzione, ma il colore nei film ebbe la meglio. «Ricordo che per ovviare al fenomeno de Lascia e raddoppia? i miei genitori comprarono un televisore — spiega —. Così il giovedì sera si interrompevano le proiezioni per vedere il quiz di Mike Bongiorno . In questo modo non si persero spettatori». La crisi più forte arrivò a metà anni Settanta, racconta Graziella Baldaro: «Fu in quegli anni che cominciai ad occuparmi delle nostre sale. Il boom delle tv pubbliche, l’indiscriminata trasmissione di film ci fecero perdere spettatori. Ci rifiutammo di fare i porno. La nostra programmazione ha cercato sempre di tenersi in equilibrio tra cinema di qualità, quello che oggi definiremmo d’essai, e i grandi successi che riempivano le ale .
In realtà questi negli anni Ottanta erano sempre meno. Dalle nostre sale è passato buona parte del cinema che conta, film di successo un tempo, ora dimenticati , film che sono diventati cult, penso all ’Inv asione degli ultracorpi , oppure Lo Sceicco bianco di Fellini che fu un fiasco; mio padre fuggì dalla sala per non incontrare gli spettatori». E proseguendo con gli aneddoti: «Ricordo il boom de Il tempo delle mele. C’era la fila che iniziava da corso Campi. La ressa fu tale che si infransero i vetri della cassa». Inutile dire che per decenni l’Italia si identificò con la cassiera Ada: «E’ morta l’anno scorso a 97 anni. Ha lavorato per noi fino al 2000 un anno prima di chiudere l’I talia. Era infallibile nei conti, ci affidavamo a lei in tutto e per tutto». E sulla chiusura del Corso a inizio anni Novanta e dell’Italia poco dopo Graziella Baldaro confessa: «Una decisione inevitabile, presa con tristezza. La nostalgia non c’è, non mi mancano le cose,male persone sì...».
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