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Le testimonianze della Grande Guerra

I protagonisti cremonesi sul fronte. Assalti e colera per la cima 11 «Italiani kaput, italiani kaput»

Gigi Romani

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lromani@laprovinciadicremona.it

14 Dicembre 2015 - 15:41

I protagonisti cremonesi sul fronte. Assalti e colera per la cima 11 «Italiani kaput, italiani kaput»

Continua la pubblicazione delle testimonianze dei fanti cremonesi raccolte dal compianto Floriano Soldi. Racconti che meglio di qualsiasi libro, analisi o ricostruzione trasmettono l’orrore della guerra, ma anche quel senso del dovere rassegnato che ha caratterizzato le genti padane per millenni. Racconti che a volte sono una liberazione, parlare fa bene, e Floriano aveva raccolto le loro parole così com’erano, con un italiano incerto, e spesso costellato da parole o costruzioni dialettali (come la grande scuola di Danilo Montaldi e della sua ‘leggera’). Ma i fanti che parlano non aveva preso la vita alla ‘leggera’, anzi, l’avevano da subito affrontata con il lavoro, la famiglia, gli affetti. Era gente dunque ‘normale’ si direbbe. Ma questa normalità era destinata a finire nelle trincee e sulle cime dei monti.

Battista Bodini di Ca’ de’ Mari (Cr) Classe 1892, muratore e masaléer (macellaio di suini e norcino).
Ero nel 138 Reggimento fanteria, dopo quando ci hanno mandato le mitragliatrici-pistola hanno formato le sezioni nei reggimenti e allora mi hanno messo alla I sezione mitragliatrici-pistola:e avevo il grado di sergente allora. Il giorno dei morti e il giorno dei santi, del 1916, abbiamo fatto l’avanzata verso Castagnovizza. Io sono stato sul Carso, le cave di Selz e tutti quei posti lì; dopo noi del 138 fanteria quando c’è stata la ritirata sul Trentino ci hanno mandato là; e allora sono stato a combattere che abbiamo fatto l’avanzata e i tedeschi si sono ritirati. Sono stato sul monte Mele, monte Fiori, cima 11. La cima 11 l’ha presa la brigata Milano; e, per esempio, la brigata Milano per prendere la cima 11 ha lasciato pochissimi morti, quando invece noi per mantenere la linea, per mantenere la linea eh, siccome loro si infilavano da cima 12, ci abbiamo avuto il rinforzo tre volte nel reggimento. Dopo è scoppiato una specie di colera là, ma siccome dopo occorrevano ancora delle forze là sul Carso, siamo tornati sul Carso ancora; e uno e il 2 novembre siamo andati all’assalto alle 11. Allora comandavo la sezione, perchè avevo il tenente Marani, un toscano, è stato ferito, ha preso una pallottola nel collo che gli è uscita dall’altra parte; non è morto, perché dopo quando ero prigioniero mi ha scritto e mi ha mandato su la giubba e i pantaloni. E lì ho avuto la promozione da sergente a sergente maggiore per merito di guerra. Il 23 maggio del 1917 sono stato ferito alla coscia sinistra, e poi mi hanno fatto prigioniero; m’hanno preso ferito. Sono stato un po' di giorni n in un ospedaletto da campo e poi mi hanno mandato in Austria che non ero ancora guarito. Là sono stato nove mesi e poi sono andato in Boemia, in una famiglia a lavorare; lavoravo come muratore, un po’ di contadino; e ci sono stato fino al 2 novembre 1918. Il 2 novembre, siccome in Boemia hanno fatto, insomma venivano a casa prima di noi ecco, allora sono arrivato fino a Innsbruk, a Innsbruk siamo stati fermi un giorno perché c’erano ancora i germanici lì, un po’ a piedi e un po’ in treno. E dopo sono venuto a Trento e poi a casa e ho fatto servizio qui a Cremona. A Cremona, siccome ero un po’ infarinato un po’ lì con la fureria, mi avevano mandato al deposito. Però nel deposito non ci potevo stare perché non ero competente e poi c’era un mucchio di debiti, perché chi vendeva le coperte, si sa com’è in tempo di guerra, quelli che erano imboscati bisogna che dica la verità. Io poi ho sentito della ritirata di Caporetto che ero prigioniero in Austria, prima di andare nella famiglia, e sentivo i tedeschi che dicevano: « Italia kaput, Italia kaput », e poi dicevano che andavano a bere il caffè a Milano.

Cesare Chinò di Isola Dovarese (Cr) Classe 1893 - Fornaciaio

Ero nell’8° Reggimento Bersaglieri e allo scoppio della guerra ci hanno mandato in Carnia. Là in Carnia abbiamo fatto tanto tempo. La prima azione l’abbiamo fatta del ‘15, il 9 giugno; e lì ci sono stati dei morti, hanno ammazzato un capitano, dalle parti di Cortina. Poi dopo siamo andati dalle parti del Paralba; poi siamo tornati di nuovo lì a Cortina, lì sulle Tofane e dopo al Cristallo dove abbiamo fatto quasi un anno. Poi siamo andati via di lì e siamo andati più a basso, verso Udine; poi siamo tornati ancora lì. Quando è successa la ritirata eravamo lì: allora ci è arrivato l’ordine di ritirarci, il 27 ottobre, ma i tedeschi erano già più avanti di noi. Ci venivano adietro man in mano che ci ritiravamo ma era una forza che non faceva pressione. Il fatto era che bisognava che noi speseghesum (in fretta) ad andare indietro perché loro erano arrivati giù, avevano puntato fino a Udine e poi si erano divisi in due ali: un’ala è andata verso la III Armata (la II l’avevano già presa là sulla Baisizza), e la III per salvarsi ha dovuto spostarsi tutta verso il mare e si è sgombrata di là. La IV, dov’ero io, hanno cominciato ad aprire le ali e ci sono venuti dietro; allora noi continuavamo ad andare verso la montagna, e ritirarsi, e ritirarsi. Eravamo truppe di copertura ed eravamo sempre attaccati a loro. Quando siamo stati a Feltre è venuto l’ordine, insomma, che eravamo già circondati. Io ero alla Posta, mi avevano messo lì con quattro o cinque uomini, ed arrivò un tenente e ci disse «rompete tutto», perché era facile che da un momento all’altro arrivassero i tedeschi. Io allora dissi ai soldati che erano lì con me che non valeva la pena di stare lì a rompere tutto, che era una fatica inutile. Così abbiamo lasciato stare tutto e siamo venuti via bel bello, e prima di venire fuori da Feltre ci hanno fermati delle pattuglie, abbiamo cominciato a sparare. Erano pattuglie, perché il grosso era indietro. Siamo passati e quando siamo stati lì al forte di Primolano, mi hanno messo lì con quattro o cinque uomini perchè lì c’era la strada tutta ingombra di artiglieria e di carreggi e abbiamo dovuto fermarci. Ci hanno detto di stare lì fino a quando non ci avessero chiamato. (segue)

a cura di Fulvio Stumpo

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