L'ANALISI
08 Dicembre 2015 - 19:38
L'antropologa Angela Biscaldi
CREMONA - C’è una dinamica sociale pericolosa che gli antropologi segnalano da quasi vent’anni; si chiama ‘eccesso di cultura’. Consiste nella tendenza ad attribuire tanta importanza alle differenze culturali da considerare impossibile il dialogo, il confronto, tra individui che provengono da contesti diversi. Chi adotta questa prospettiva pensa che le persone siano così meccanicamente dipendenti delle loro (presunte) appartenenze — etniche o religiose — da non tollerare alcuna espressione di diversità, da non poter comprendere comportamenti o tradizioni diverse, da non poterne essere neanche solo temporaneamente ‘esposte’.
L’abolizione della festa di Natale nelle scuole (niente presepe, niente canti religiosi, nessun riferimento sacro) e la sua sostituzione con una cosiddetta festa laica (delle luci o della fratellanza) appartiene a questa dinamica — rimuovere la propria memoria e la propria identità per ‘eccesso di cultura’, assecondando il volere (presunto) dell’altro, ‘di religione diversa’, al quale (si presume) essa darebbe fastidio.
Si tratta di una forma di reificazione della cultura, che crea barriere e divisioni là dove spesso non ci sono (ma chi sono questi Altri che non vogliono il Natale nelle scuole?). Essa, inoltre, sottovaluta le risorse di cui dispongono gli individui, anche in terra di migrazione: comprendere, adattarsi, conoscere, confrontarsi, anche, perché no?, motivare una mancata partecipazione (chi ne negherebbe il diritto?).
Insomma, mettersi in dialogo come soggetti attivi. Cittadini in una democrazia.
Ora, ragioniamo: se le differenze, in questo caso confessionali, vengono preventivamente censurate, perché ritenute potenzialmente pericolose, se non contaminanti, come sarà possibile per i bambini imparare a conviverci? Come conoscere ciò che si nasconde? Come rispettare ciò che non si conosce?
Si educa alla differenza religiosa mostrando, nelle pratiche quotidiane, che essa, in sé — in quanto espressione pacifica di fede — non offende proprio nessuno. Come un foulard in testa, un cambio di portata in una mensa, un presepe, un canto di Natale.
Angela Biscaldi (dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Milano)
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