L'ANALISI
14 Febbraio 2015 - 13:38
Nell’addormentarmi alla sera mi accade di riandare col pensiero a delle visioni della Cremona della mia fanciullezza e mi riappaiono le strade principali da me quasi passate in rivista con la fila dei negozi che vi insistevano. E’ una specie di cinema muto, al quale assisto con passione e nostalgia. Si, perché la vecchia Cremona, dalle immediate periferie (come il rione delle Caserme a quello del Cittanova) fino al centro (con Piazza Cavour e Piazza Duomo) era fitta di negozi di ogni tipo per offrire ai passanti alimentari, indumenti, scarpe, servizi di ogni genere, dagli igienici ai voluttuari.
Proviamo a ripercorrerne qualche tratto, per esempio partendo da San Luca e andando verso Sant’Agata: incontriamo sul lato destro il ferramenta Massimino, il fornaio Camozzi, dal quale si reca ogni giorno con tanto di cappello (segno distintivo delle Signore) la nostra domestica Irene e più avanti, presso via Dei Mille, la cartoleria Botti (che poi si trasferirà sull’altro lato).
Sul fianco sinistro vedo una merceria, poi la Farmacia Mola, il tintore Rolleri ed il negozio di frutta e verdura di Primo e della ‘Nadalina’; e, infine Mascetti con le sue biciclette, spazio più tardi coperto dal fornaio Menta e dal multiforme e geniale merciaio.
Proseguendo da Piazza Sant’Agata verso l’innesto con Corso Campi, vedo sul lato sinistro l’orologiaio Ferrari, poi diventato gioielliere e cultore d’arte, l’elegante cartoleria Moschetti e l’ortolano Cecchin; dall’altra parte, al salumiere Savi, sull’angolo di Piazza Sant’Agata, subentrarono prima il famoso salumiere Azzolini poi la Latteria Ca’ de’ Stefani, fornitrice di alimentari diversi, dai caseari ai salumi. Proseguendo rivedo il frequentatissimo Bar Montecarlo, la pasticceria Ghidini e il negozio di Topi, macchine per cucire, in mezzo il Fotocine poi di Dante Guarneri e ancora il fotografo Boni e più avanti Vailati, fotografie ed ottica, per finire col negozio dell’eccellente mobiliere Feraboli, appena prima di via Milazzo.
A metà strada c’è La Casa della Banana, eredità della guerra in Abissinia, che abitua i cremonesi ai frutti di palma, compresa quella da datteri. Vicino a via Palestro, contornata da bambini attenti e festosi, c’è la vetrina di Viola (poi Pinoni) con tutte le novità dei giocattoli, specie nelle festività. Nel resto dell’anno è prevalentemente ricca di telerie e mercerie. Infine vedo il frequentato Bar Italia, al quale negli anni ’60 subentrerà Spagnoli con vetrine piene di abiti comodi ed eleganti. Di fronte vedo il fioraio Franzini, cui subentrerà il famoso duo Faliva e Capitano, geniali fotografi che poi diventeranno concorrenti.
Per renderci conto di come sia servito il centro, guardiamo la presenza di sale cinematografiche. Sono: il Supercinema, angolo vie Palestro e Goito; il Politeama, quando non è teatro di prosa; il Littorio, poi Roxi, di fronte alla Posta Centrale, infine intitolato a Tognazzi; il Filodrammatici, per molta parte dell’anno e persino il Ponchielli (durante e dopo il secondo conflitto mondiale); ma c’era anche qualche sala periferica, come quella di via Zara, del Gruppo Rionale del Partito Fascista, nella quale esercitò le sue innate doti teatrali lo stesso Ugo Tognazzi. In estate se ne aggiungevano altre, tutte all’aperto, tra le quali il Cinema Auricchio, di fronte al Bar Dondeo ed alla Stazione Ferroviaria.
Prima di concludere questa rassegna disegnata sul passato, voglio raccontare come è nata nella mia mente. Intensificandosi il freddo, andando a piedi e in bicicletta, ai primi di dicembre ho sentito il bisogno di acquistarmi un berretto e guanti di lana. Ebbene, per essere soddisfatta nel mio più che legittimo desiderio, ho dovuto perdere un intero pomeriggio, durante il quale mi sono resa conto della globalizzazione in atto anche nei negozi e servizi. Se una persona oggi vuol fare la spesa, deve per forza andare in un supermercato, diversamente non incontra altro che una infinita ripetizione di negozi di scarpe da tennis, di sciarpe e intimo, di cianfrusaglie diverse e peluches, senza contare le cineserie. Non capisco perché una merceria che vende scialletti per arabi e reggipetti non possa avere tra i suoi articoli un paio di guanti; invece così è.
Di modiste e cappellai una volta ce n’era un buon numero: lo si doveva anche alla moda che non permetteva alle signore ed ai signori di uscire senza cappello. I nostri nonni si facevano perfino fotografare in studio indossando il cappello. Pensiamo un momento al passato. In primo luogo vedo le modiste Cantella, in Corso Campi e Piccini in Corso Garibaldi; poi Stanga sotto i portici di Piazza Cavour e l’ultimo la cappelleria Soldi, meritoriamente rimasta in Corso Mazzini d’angolo con via San Tomaso, eccetera. Tra parentesi posso confessare che il mio berretto, leggero ma caldo, di lana e cachemire l’ho comprato proprio in questo negozio, come i precedenti, d’altronde. D’inverno, cappelli a larghe tese, ma costosi, ne appaiono anche altrove, tra cappotti ed abiti da uomo. Ma i guanti in lana di misura conveniente li ho dovuti scovare solo in un luogo apposito, che vende solo guanti, in via Solferino.
Mi si permetta di tornare alla mia rassegna di negozi antichi, guardando come in sogno i lati di Corso Campi. A destra vedo la famosa libreria Lorenzelli poi la gastronomia Brusati; poi il negozio di radio di Noè e quello di stoffe di Zagni, seguito dalla già citata Rescaglio e dalla calzoleria Abelli, prima del Bar Olimpia sull’angolo con via Anguissola. Sul lato sinistro, dopo il voltone del Politeama, vedo Boccasavia, telerie, intimo e il negozio di Drago (cristalli e ceramiche”; poi il celebre pellicciaio Borghi, e lo splendido negozio di oreficeria Chiappari, poi Marini. In via Guarneri annoterò, per gli indumenti di lana il negozio di Ceruti e per i filati, unico nel suo genere, il negozio di Giudici e per i caseari la Plac, di fronte al celebre bar Giardino.
Non c’è che dire: una bella rassegna espositiva che dava lustro alla città e piacevoli sensazioni a chi, quasi ogni giorno, percorreva i due tratti di Corso per fare una salutare passeggiata ed incontrare il prossimo.
Lucia Zani
(insegnante)
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