L'ANALISI
01 Settembre 2017 - 04:00
Area di produzione - Comune di Gravina di Puglia (provincia di Bari)
Perché si chiama Pallone di Gravina
Il Pallone di Gravina prende il proprio nome dal luogo di produzione e di stagionatura; le grotte di "Calcarenite di Gravina" che si trovano nelle gravine del territorio della città murgiana. Infatti, oltre la stagionatura anche la trasformazione del latte nel prodotto finale avveniva anche in questi ipogei carsici.
Storicamente sito di eccellenza per la coltivazione del grano e del vino, non a caso lo stemma araldico del paese riporta in effige questa specificità (grana dat et vina). I caseifici di Gravina attingono latte vaccino – un tempo di podolica – dal bacino dell’Alta Murgia, uno dei migliori dell’Italia meridionale, e producono specialità uniche, come il Pallone, di latte crudo vaccino, sostanzialmente un caciocavallo senza testina e dalla forma tondeggiante che si produce da gennaio a marzo.
Pochi oggi sanno che cos’è il pallone. Il nome è andato in disuso, anche localmente, e molti lo confondono con un comune caciocavallo. Pochi caseifici di Gravina lo producono ancora e gli allevamenti che garantiscono una produzione costante di latte di qualità adatto alla lavorazione a crudo sono rari. Però negli ultimi tempi il Presidio Slow Food ha voluto dare slancio alla produzione del tipico Pallone gravinese, che ultimamente era parecchio calata a favore di quella del materano, favorendo allo stesso tempo la lavorazione a latte crudo e l’utilizzo di fermenti autoctoni. Solo così si possono ottenere formaggi adatti a una stagionatura prolungata, mentre oggi si tende ad offrire al mercato un Pallone da consumare giovane, meno caratterizzato dal punto di vista organolettico. Un Pallone stagionato almeno tre mesi è inoltre il tramite per dare valore alla produzione di latte dell’Alta Murgia, che vanta ancora mandrie semibrade, pascoli unici per varietà e ricchezza di erbe, tradizioni antichissime.
Si ottiene coagulando il latte crudo intero vaccino con caglio liquido di vitello o in alcuni casi con caglio di capretto; quindi la cagliata, dopo la rottura in grani della misura di una nocciola, si lascia depositare. Successivamente si raccoglie la massa e la si deposita su un piano di lavoro dove avviene la fase della acidificazione, la più delicata del processo, che dura circa 12 ore, al termine della quale la pasta viene affettata e scaldata con acqua bollente per consentire la filatura. Conseguita la tipica forma sferica con un lento processo di manipolazione, il formaggio passa in salamoia, dove resta per 24-36 ore a seconda del peso e quindi va in asciugatura. Terminata questa, il Pallone può stagionare in cantine naturali, dove assume aromi sempre più pronunciati, un tempo venivano appesi nelle grotte di tufo in cui stagionavano mesi: dopo tre mesi il piccante si fa sentire, la pasta assume colorazioni che virano sul dorato intenso e i profumi danno note di caramello che si assommano all’erbaceo tipico dei formaggi di quest’area. Il suo peso va da uno a dieci chili.
STORIA
Le origini sono molto remote: i reperti rinvenuti nel Parco Archeologico di Botromagno a Gravina in Puglia, danno diverse testimonianze. Infatti all’interno dei corredi funebri dell’antica Sidion greca, poi Silvium romana, sono stati ritrovati tra gli addobbi funerari (risalenti appunto al VII secolo a.C., periodo di dimora Peuceta) strumenti per la lavorazione del latte ed, addirittura, una grattugia o gratta-cacio per formaggi a scorza dura come il Pallone di Gravina.
In tempi più recenti, la lavorazione di questo formaggio vaccino a pasta dura filata risale all’epoca della transumanza, quando lungo i tratturi pugliesi transitavano armenti e greggi di migliaia di capi. Gravina nei secoli passati era una delle stazioni di sosta più importanti sul tratturo Bradanico-Tarantino (che va da Melfi a Castellaneta) e vanta un’importante tradizione casearia. Lo stesso Pallone è già citato nella Nuova Enciclopedia Agraria del 1859 ma anche nel "Finanche come le Lectures on Agricultural, Chemistry and Geology" (Edimburgo e Londra, 1847) in cui si cita il Pallone di Gravina come uno dei formaggi più popolari e di pregio dell'Italia meridionale, all'epoca Regno delle Due Sicilie. Tra il 1797 e il 1816 Lorenzo Giustiniani, nobile ed avvocato napoletano nell’opera "Dizionario Geografico ragionato del Regno di Napoli", descrive che nella città di Gravina tra "...le massime industrie è quella dè formaggi, che vi riescono a cagione dè buoni pascoli assai saporosi, e specialmente i cacicavalli, che fanno di una figura rotonda appellati melloni o palloni, sono squisitissimi...".
La Particolarità del Pallone di Gravina.
La particolarità del Pallone di Gravina non è nel latte e nemmeno nella grande maestria dei casari (del passato come degli attuali) ma nella stagionatura e più esattamente nel luogo ove "risiede" e si "riposa" il formaggio. La storia e le leggende della cultura popolare ci dicono che il Pallone di Gravina veniva stagionato nelle "gravine". La gravina è una tipica morfologia carsica della Murgia gravinese. Le gravine sono incisioni erosive profonde anche più di 100 metri, molto simili ai Canyon, scavate dalle acque meteoriche nella roccia calcarea. Le sue pareti, molto inclinate ed in alcuni casi verticali, possono distare tra loro tra poche decine di metri a più di 200 metri. All'interno di questi Canyon ci sono delle grotte naturali formate da "Calcarenite di Gravina". Questa è una roccia sedimentaria organogena ( i suoi elementi sono cioè costituiti da frammenti fossili di gusci di molluschi e crostacei), a granulometria grossolana, di colore giallognolo, a causa delle alterazioni subite da parte degli ossidi ed idrossidi di ferro, o biancastro.
Quindi il Pallone di Gravina veniva stagionato nelle grotte di roccia di "Calcarenite di Gravina" e qui, grazie alle muffe nobili che si formavano e che attaccavano la scorza del prodotto stesso, veniva lasciato per diversi mesi.
Curiosità
Sul Pallone di Gravina vi sono diverse curiosità. Tra le tante citiamo di vicende di "brigantaggio". Nei secoli scorsi il prodotto veniva lavorato e stagionato nelle gravine ed era, per i casari del tempo, un vero e proprio investimento. Questo "tesoro" faceva quindi gola a chi, persone senza scrupoli e senza legge, voleva approfittarsi delll'altrui lavoro. Ci sono quindi notizie su vere e proprie lotte tra produttori e briganti.
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