L'ANALISI
Volume dedicato Paesi subsahariani
01 Febbraio 2016 - 17:02
Il titolo, ‘La mia Africa’ evoca il famoso libro di Karen Blixen e l’ancor più noto film girato da Sydney Pollack nel 1985. A differenza dell’autobiografia della scrittrice danese, il volume fotografico del cremonese Antonio Scolari è la sintesi di ventidue viaggi compiuti dall’inizio degli anni ‘90 sino a febbraio 2014 in un continente affascinante, inafferrabile e misterioso. «Questo libro — spiega l’autore — non è un’autobiografia per immagini delle mie esperienze africane. Vuole essere, invece, una professione d’umiltà. Vuole significare l’impossibilità per chiunque di comprendere la realtà di un continente così vasto, multiforme e, per di più, in continua evoluzione».

Le 285 fotografie pubblicate sono il risultato di una laboriosa e per certi versi sofferta selezione di 35.000 scatti. La macchina fotografica fissa istanti di una realtà che entra in risonanza con quella interiore di ciascuno di noi. Scolari si pone da spettatore di fronte ad ogni soggetto: non giudica, documenta. E lascia che le emozioni scorrano libere, senza filtri. La sua Africa diventa la nostra Africa. Questo è lo scopo di un lavoro ultraventennale esaltato dai testi rigorosi e puntuali di Domenico Ferrari, proposti anche in lingua inglese. «Inizialmente scegliemmo le immagini più belle — spiega Ferrari —, poi ripetemmo la selezione decidendo di pubblicare solo quelle che documentassero una fase di cambiamento. In Eritrea, ad esempio, sopravvivono tracce del passato coloniale italiano. Anche queste appartengono a un mondo che va scomparendo». Altre istantanee sono frammenti di una realtà ancora sconosciuta ai più. Sono impressioni di viaggio, intuizioni emotive che descrivono momenti irripetibili». Giova ricordare che Scolari interruppe i suoi viaggi in Africa il 17 febbraio 2014, giorno del dirottamento dell’areo che lo portava da Addis Abeba a Roma, quando fu costretto ad atterrare a Ginevra.
L’autore sfoglia il libro, in vendita nelle librerie — parte del ricavato sarà devoluto a favore della cooperativa sociale Nazareth —, commenta le immagini e ricorda le varie situazioni, alcune delle quali drammatiche. Si commuove. Trattiene a stento le lacrime davanti alle 55 croci che ricordano il sacrificio di altrettanti giovani hutu, uccisi perché si ribellarono all’ordine di un guerrigliero tutsi di dividersi secondo le rispettive etnie. «Siamo tutti fratelli e solidali» dissero. E pagarono con la vita il loro coraggio.
Scolari ha ritratto i momenti di vita quotidiana degli hadzabe, un popolo che conta meno di mille persone che si accoppiano solo tra loro. Sono in costante calo e si stima che tra trent’anni scompariranno. Cacciano e non hanno acqua, ma la ricavano dai tuberi che crescono sotto terra, a un metro di profondità. Vivono con poco, come 10.000 anni fa, ma quel poco li rende felici. La loro infelicità è legata alle malattie e alla morte.
Tra le innumerevoli esperienze di viaggi sempre avventurosi e talvolta compiuti al limite delle capacità umane, Scolari ricorda i 52 gradi all’ombra registrati in Burkina Faso, che misero a dura prova la sua resistenza.
E non dimentica un altro rischio, ancora più grave, che corse quando barattò con un guerriero afar della Dancalia uno Swatch con un pugnale. Il giovane manomise l’orologio, del quale andava molto orgoglioso, e questo cessò di funzionare. Minacciò d’uccidere il cremonese. Ben sapendo che ancora oggi gli afar castrano i nemici ed esibiscono i testicoli come trofei, Scolari s’affrettò a riparare il cronografo. E ci riuscì. Quando la paura fa miracoli.
Vittoriano Zanolli
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