L'ANALISI
Cremona. Fino al 27 gennaio 2016
04 Dicembre 2015 - 14:01
Cremona - Galleria delle Arti, in via Bonomelli 8
‘Motions Un fil Rouge’
Dal 5 dicembre 2015 al 27 gennaio 2016
CREMONA — I piedi del contadino del Chiapas che nella capanna tesse una corda con i fili dell’agave. Il ragazzino con la palla sulla spiaggia di Anako, in Madagascar. Le donne danzanti al carnevale di Kousoku, in Perù. Trentun fotografie in bianco e nero, trentun scatti in movimento.
Volti, sguardi, paesi, strade, spaccati di quotidianità eumanitàcatturati inogniangolo del mondo. Si chiama "Motions Un fil Rouge" la mostra che sarà inaugurata sabato 5 dicembre alla Galleria delle Arti, in via Bonomelli 8.
L’autore è un autodidatta: Gianpaolo Roseghini , natali a Cremona, 50 anni, gli ultimi trenta in viaggio da un continente all ’altro con la macchina fotografica.
Una passione, la fotografia, coltivata dall’e tà di 14 anni (sarà il fotografo Capitano a seguirlo nei suoi primi passi). «Ho giocato sul termine ‘mo tion con l’elisione della ‘e’. Sono foto di movimento in movimento che ti innescano emozione e questo è il filroug», racconta Roseghini alla sua prima esposizione aperta fino al 27 gennaio.
Una casa piena di foto. Studi al liceo Scientifico Aselli, tre anni a Milano, facoltà di Giurisprudenza. Ma per uno curioso di civiltà (ora sta studiando Antropologia a Bologna), difficile immaginarsi chinato sui codici, chiuso in uno studio legale e nelle aule di giustizia. Da Milano il salto a Venezia, alla Cà Foscari, università di Lingue orientali , quello successivo alla Normale di Shanghai, «iniziando un mare magnum di collegamenti con la Cina».
Siamo alla fine degli anni Novanta, gli anni delboom. L’Asia diventerà la sua seconda casa. Il rientro in Italia, poi di nuovo con la valigia in mano. De stin azio ne Australia. Nei suoi trent’anni di viaggi per vacanza o per lavoro, Roseghini ha attraversato l’Himalaya a piedi, la Russia in treno, ha visitato le due Americhe in lungo e in largo.
E poi Europa, Africa, Asia. Metropoli e villaggi. Un rapporto «affettivo e simbiotico» con la sua macchina fotografica. «Io non sono mai invasivo — spiega —. La mia filosofia non è quella di arrivare come alcuni americani con certi ‘ca n n on i ’ violenti che creano ritrosia dall’altra parte». No. nei villaggi della povertà Roseghini ci entra in punta di piedi: «E’ come se gli eventi venissero da me. Quando si arriva in posti dove la popolazione non vuole essere fotografata e questo capita spesso, io la macchina fotografica non la tiro neanche fuori. Come un pescatore che prima pastura e lo dico in senso positivo, non sto cioé tirando un tranello alle persone, faccio in modo di dispormi all’osmo - si con il posto».
E’ così che «le persone sanno chi sei, un giorno ti rivedono, non hai la macchina fotografica, entri nel villaggio, ti offrono una cosa, tu l’accetti e li ringrazi. Il giorno dopo tu offri una cosa a loro.A quel punto non sei più visto come un turista, come la persona a cui si deve vendere qualcosa.
E allora quando tiri fuori la macchina fotografica, sai già che loro verranno da te, con curiosità, perché sanno che sei unapersona buona. Sono loro che ti aprono le loro case e tu scatti foto chealtrimenti non potresti fare».Sono naticosì itrentun capolavori da domani esposti alla Galleria delle Arti.
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