In una La Spezia abitudinaria e schietta, più marina della Marsiglia di Izzo, il commissario D’Imporzano indaga sull’omicidio di un imprenditore di origini portoghesi con ambigui trascorsi nelle file dell’estrema destra, trovato morto nel retrobottega di un ex bar malfamato. D’Imporzano — che gioca in casa, nella sua città — si muove tra squali al capolinea, rancori conditi da miserie, golpisti in quiescenza, medici e un barbiere sputasentenze che lo aiuta a correggere il tiro. Il commissario scandaglia gli scrigni di alcuni poteri sopravvissuti, in mezzo a reduci, furbi e vinti, mentre si gode le perle del Golfo dei Poeti e delle Cinque Terre. Di pari passo D’Imporzano affranca una vedova dell’acquisita borghesia: una donna alta e seducente che profuma di patchouli. La stagione da Iseo si presenta come un giallo ma bastano poche righe per capire che è un romanzo al quale il rigore dell’intreccio e i crismi della detective story stanno stretti. Il valore aggiunto è unamemoria polifonica: quella dell’autore e quella riflessa, intrecciata, di protagonisti, comprimari e comparse. Una memoria di volta in volta struggente e spietata, collettiva e intima, strisciante e ruvida. Una memoria che spinge i piani narrativi (se ne contano in maniera distinta tre, scanditi in capitoli sempre brevi) a intersecarsi lungo vicende che si dipano nel corso degli ultimi decenni. Tutto tramite una scrittura agevole, in presa diretta, sempre al presente. Il commissario ricompone frammenti della sua memoria, della storia della sua città, della nostra storia: reminiscenze che stridono con le vaghezze conformiste della comunicazione contemporanea, contro la quale si schiera il poliziotto, alle prese con una tensione immaginifica che sale d’intensità con il progredire dell’indagine, in una sorta di puzzle che lo prende (e prende il lettore) per mano. Il risultato è un viaggio pre-digitale, sensuale, sapido come una bottiglia di Vermentino appena stappata. Molti lettori, a cominciare dagli spezzini ma anche dai tanti cremonesi che frequentano la seconda città ligure e i suoi meravigliosi dintorni, in queste pagine ritrovano fuochi, profumi e cibi. Ritrovano le estati calde e assolate, le mattine fresche e i colori della piazza del mercato, le navi della marina militare in rada, la farinata, i sorsi di birra e il fumo di sigarette che sale da via del Prione, la più ligure delle strade della Spezia. Trovano queste e altre cose, alcune smarrite tra i ricordi dei bombardamenti e dei diporti oltre l’immensa diga foranea: a levante la San Terenzo di Mary e Percey Shelley, Lerici, la Tellaro di Mario Soldati; a ponente Porto Venere e l’Isola Palmaria. Trovano giornate piene, nel vento e nel sole, prima dell’uniformità serale e seriale delle luci bluastre delle televisioni che, verso cena, fuoriescono dai tinelli e dalle finestre, in un solo, elettrico, oblio. La stagione da Iseo ha la forza e il ritmo dell’opera prima, senza quella sovrabbondanza di significanti frequente al debutto degli scrittori, quando l’autore vuol metter dentro tutto, inclusi lentezze e particolari inutili ai fini della storia. Qui il lettore è inchiodato dalla prima all’ultima pagina, con tanto di capoversi dove prendono corpo una sensualità e un erotismo che lasciano il segno.