L'ANALISI
Una pagina di storia cremonese
21 Dicembre 2014 - 11:43
''Il nobile sogno del Cavaliere Antonio Campi. Storico, pittore, architetto e molto altro. L’uomo del Rinascimento cremonese''
di Fulvio Stumpo
254 pagine, Cremonabooks
La vita e le opere (non pittoriche) di Antonio Campi, l’uomo che più di altri ha incarnato il ‘multiforme ingegno’ del Rinascimento cremonese. Antonio fu storico, cartografo, architetto, scultore, pittore e anche mercante: fu insomma un intellettuale a tutto tondo. Un genio di provincia che seppe sfruttare le sue qualità fino a diventare ‘classe dirigente’, che fu consigliere ascoltato da nobili e potenti, riverito da re e governatori; un personaggio che tra i suoi amici poté vantare Carlo Borromeo, il futuro santo, e che per i suoi meriti venne nominato cavaliere e diventò un uomo ricco, molto ricco, probabilmente proprietario dei terreni su cui secoli dopo sarebbe sorto l’ospizio Soldi. Sono questi i temi del libro di Fulvio Stumpo Il nobile sogno del Cavaliere Antonio Campi. Storico, pittore, architetto e molto altro. L’uomo del Rinascimento cremonese (254 pagine, Cremonabooks), una biografia del grande cremonese, nato nel 1524 e morto nel 1587, che arriva nelle librerie dopo quattro anni di lavoro.
Stumpo ripercorre la vita di Antonio Campi partendo dalla Cremona rinascimentale e dalla sua famiglia, originaria di Formigara oppure di Persichello. Dalle pagine del libro emerge una città, che sì ha perso l’autonomia comunale, ma che è una pedina fondamentale per il grande impero spagnolo, e che è governata da famiglie nobili che danno agli Asburgo valorosi capitani che combattono sui vari fronti al servizio dell’impero, compresa la battaglia di Lepanto. Viene ricostruita la sua probabile infanzia, i rapporti con il padre e gli altri fratelli, i pittori Giulio e Vincenzo, senza trascurare le sorelle. Fu un’infanzia vissuta in contrada Poffacane — la strada esiste ancora —, una vicinia non particolarmente aristocratica dalle parti dell’attuale corso Matteotti, a ridosso delle mura. E proprio da qui parte la parabola sociale di Antonio Campi. Secondo Stumpo è proprio lui a far fare quel salto sociale alla famiglia che gli consentirà, dopo la nomina a Cavaliere Aurato, di autoiscriversi tra i nobili e i notabili della città. Lo fa in un modo che sottolinea la sua intelligenza: non compila elenchi come Bordigallo, ma disegna la Carta della città e su questa indica chiaramente la sua casa, in vicinia Sant’Elena (l’attuale corso Campi) e quella dei suoi fratelli. Un’autopromozione che potrebbe sembrare presuntuosa e che invece non lo è: i nobili del Consiglio non solo non si arrabbiano, lo premiano esentandolo dal pagamento delle tasse.
Antonio diventa quindi un gentiluomo, sposa il manifesto spagnolo, e per questo viene bollato da non pochi critici come un intellettuale funzionale al potere. Stumpo però critica questa impostazione e cerca di dimostrare come al contrario l’Antonio-storico lanciò dalla sua Fedelissima non poche stoccate al potere, partendo soprattutto dall’eterna questione della ‘gravezza delle tasse’. L’autore ‘assolve’ Campi, in parte, anche dalle accuse di intolleranza verso la Riforma luterana.
Largo spazio viene inoltre dato ai rapporti che Antonio ebbe con i potenti dell’epoca: l’amicizia (non sempre serena) con Borromeo, il colloquio con una star dell’epoca quale Enrico III di Valois, che riceve in udienza privata l’intellettuale cremonese nelle sue stanze di palazzo Trecchi, e poi il grande onore che gli fece il governatore dello Stato di Milano Carlo d’Aragona che lo andò a trovare a casa, e ancora i rapporti con gli Sfondrati. A questo proposito un intero capitolo del libro è dedicato alle visite di personaggi illustri a Cremona, partendo proprio da come le descrisse Campi, nel famoso Libro Terzo della Fedelissima.
Stumpo si interroga anche sul perché l’opera sulla storia della città non venne terminata: a suo parere il motivo è da ricercarsi nel fatto che Antonio si ammalò gravemente, come si evincerebbe dal congedo ai lettori, dove Campi parla di ‘Nostra humana condizione tanto frale’. Due anni dopo l’intellettuale morì e venne sepolto nella cappella di famiglia in San Nazzario, dove riposavano già il padre Galeazzo e il fratello Giulio. La chiesa venne prima ristrutturata nel XVII secolo e poi abolita in quello successivo: le spoglie dei Campi non vennero mai più ritrovate.
Barbara Caffi
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