L'ANALISI
Stagione di prosa del teatro Ponchielli di Cremona
18 Febbraio 2015 - 15:16
Daniele Timpano prende a pugni la storia, la massacra a colpi di parole, di cambi di prospettiva, di verità taciute e di falsità prese per verità, di utopie rincorse e di una disillusione che fa male. Daniele Timpano, martedì 17 febbraio, si è mangiato il Ponchielli, se lo è portato via col suo Aldo Morto Tragedia. Il palcoscenico spoglio è stato riempito dal fisico dinoccolato e dalla gestualità fluida di Timpano, attore esile, classe 1974, ma potentissimo nel raccontare il suo punto di vista su Aldo Moro: il punto di vista di chi nel 1978 aveva solo poco più di tre anni e stava all’asilo. Timpano non cede un attimo, è ora il figlio di Aldo Moro, ora è narratore di un clima e di un mondo, recupera canzoni e infila stoccate ai falsi storici e ai giornalisti conniventi, ora è un possente Renato Curcio con maschera da Mazinga Z, un narciso risolto, un non pentito, un non dissociato, alla fin fine un integrato al sistema, lui il rivoluzionario. Timpano è feroce nei confronti dei comunisti, lo è nei confronti di Moro santino, lo è nei confronti di uno Stato che fa schifo e che ‘se non funziona bisognerebbe abbatterlo’, afferma come dicevano i brigatisti. L’attore veste su di sé i punti di vista di quella storia che lui non ha vissuto perché troppo piccolo e lo fa inanellando una serie di dati e citazioni, ma senza mai cadere nel didattico e nel modello di certo teatro civile e a tesi. Pasolini entra scomodo come citazione ed è avvertito come nemico... o portatore di opportunismo e perbenismo borghese. Così in Aldo Morto i punti di vista si accavallano, si intrecciano e con essi la consapevolezza di fare solo teatro, uno spettacolo... Anche questo è un modo di tenere la distanza da una materia che scotta, ma al tempo stesso è frequentare la volontà di scottarsi mani, corpo, faccia come fa Daniele Timpano inarrestabile, fisico che freme e dice. Timpano, nel denunciare il gioco teatrale, si guarda e sfida lo sguardo degli spettatori, gioca e costruisce sul serio la sua visione di Moro: Moro come Nathan Never, l’eroe dai capelli grigi e un ciuffo bianco, un eroe immortale. Eh sì perché la morte di Aldo Moro, il suo sacrificio, o la sua uccisione di Stato — questione di punti di vista — lo hanno reso immortale, lo hanno reso icona, immagine di un Paese che non è troppo diverso dal Paese di oggi. E alla fine per Daniele Timpano è un lungo applauso, caloroso da parte di un pubblico attento e partecipe.
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