Cerca

Eventi

Tutti gli appuntamenti

Eventi

27 aprile 1982

Garibaldi a Cremona

Nell'aprile 1862 l’«Eroe dei due mondi» soggiornò per tre giorni nella nostra città

Annalisa Araldi

Email:

aaraldi@publia.it

27 Aprile 2020 - 07:00

Garibaldi a Cremona

Nell'aprile 1862 «Eroe dei due mondi» fu ospite per tre giorni della nostra città interpretando da protagonista un consenso corale senza precedenti.

La prima notizia di un imminente arrivo del generale viene pubblicata in prima Pagina dal bisettimanale «Il Corriere Cremonese» (giornale politico-letterario che usciva il mercoledì e il sabato — abbonamento annuale L. 16 — direttore e proprietario Fulvio Cazzaniga) il 19 marzo 1862.
Nella rubrica «Gazzettino di città e di campagna» i cremonesi poterono leggere questo annuncio: «Arrivo di Garibaldi in Cremona. Il generale Garibaldi, nella sua qualità di Vicepresidente del Tiro Nazionale, fu nominata Presidente dei Comitati promotori dei Tiri provinciali e mandamentali con delegazione del Re di fare il "giro d’Italia". Il giorno 22 sarà a Milano per la commemorazione delle "cinque giornate". Nei prossimi giorni si spera che venga a Cremona. Grande è l'aspettazione e la gioia della nostra città, che non ebbe ancora l'onore di ospitare fra la sue mura l'eroe italiano; tutti vogliono vedere l'uomo famoso che ha riempito delle sue imprese il mondo, e che i popoli venerano nell'uno e nell'altro emisfero per simbolo di virtù e di libertà; tutti vogliono vedere il prode guerriero che die' all'Italia un regno, terrore dei nostri nemici, il più grande amico del Re e primogenito della Nazione».

Contemporaneamente venivano pubblicate e stampate a parte su volantini da vendersi a centesimi 20 a favore dei poveri e degli asili infantili, molte composizioni poetiche ispirate al clim, che si preannunciava incandescente, tra cui un'ode del nobile G. Sommi Picenardi che iniziava con questi versi: «Suoni la tromba, e vinta / per la tua voce, e doma / sia la discordia: uno solo / della Patria è il grido: / Venezia e Roma!».

La città intanto si prepara a ricevere degnamente il generale intensificando i preparativi per i festeggiamenti: a porta Venezia viene allestita una grande composizione scenografica raffigurante l'arsenale di Venezia, opera del «pittore prospettico» Giovanni Motta; un «comitato di provvedimento» siede in permanenza per definire ogni dettaglio organizzativo; la «Società di mutuo soccorso fra gli operai», da poco costituita, attende il suo presidente onorario; in piazza Garibaldi (già S. Agata) viene allestito un obelisco a cristalli colorati e luminosi che si eleva su una base poligonale formata da pannelli trasparenti raffiguranti episodi della spedizione dei Mille (cui avevano partecipato 27 cremonesi 6 dei quali della città) e della campagna del sud, opera dell'ingegnere municipale Camillo Dalla Noce; la «Società del Tiro a Segno» fa pubblicare il «Programma della gran partita di bersaglio» da effettuare per ben tre giorni consecutivi nel poligono di tiro situato fuori porta Romana lungo le mura verso porta Mosa, nei pressi dell'ex baluardo Caracena. Ovviamente i premi in palio consistono in fucili di precisione, stole, carabine e centinaia di cartucce: partecipazione aperta a tutti, biglietti al prezzo di una lira con diritto a tre tiri.

Finalmente giunge il giorno tanto atteso: sabato 5 aprile verso le ore 9,30 «l'eroe dei due mondi» arriva in carrozza a Cremona dallo stradone di Mantova, accompagnato dai giovanissimi figli Menotti e Ricciotti dal generale Nino Bixio, dal col. Stefan Thur, dal col. Gaspare Trecchi, dal senatore Giacomo Plezza e dal col. Francesco Nullo.

Racconta il marchese Alessandro Trecchi: «Si può dire che tutta Cremona fu ad incontrarlo: il suo ingresso fu veramente trionfante. Dalla porta della città fino alla mia casa fu una continua ovazione: echeggiavano gli evviva ad ogni passo ed il generale durò fatica a frenare tanto entusiasmo, al punto che volevasi perfino staccare i cavalli dalla sua carrozza per trascinarla a braccia, cosa che egli non permise. Operai e popolani, uomini e donne, andavano a gara a stringergli la mano; salivano sulla carrozza per baciarlo e abbracciarlo… ed ei lasciava fare commosso».

Sulla piazza, frattanto, la banda musicale del comune di Due Miglia esegue senza sosta l’«Inno di Garibaldi», mentre il generale, appena entrato nel salone d'onore del palazzo Trecchi, deve subire il dolce assalto delle giovani allieve del Collegio diretto da Carolina Borsa «che lo circondano, lo acclamano, lo baciano e gli accarezzano la barba...».

Subito dopo, richiamato a gran voce dalla folla, si affaccia ad una finestra del primo piano del palazzo e, dopo aver porto il suo saluto al «bravo popolo di Cremona», così conclude: «Per adempiere al santo obbligo verso Roma e Venezia dobbiamo farci destri alle armi. Voi cremonesi avete già respinto i nemici d’Italia: ora non vi resta che rendervi abili anche nell'esercizio del tiro; perciò vi raccomando il tiro al bersaglio. Quando ciascheduno degli Italiani saprà bene usare di una carabina, la questione di Venezia e di Roma sarà sciolta prontamente. Ora vi ringrazio con tutta l'effusione dell'anima della bella accoglienza che mi fate».

Nel pomeriggio si reca a far visita al vescovo monsignor Antonio Novasconi che, colpito da erisipela ad una gamba, ha declinato l'invito di recarsi a pranzo in casa Trecchi. Le versioni riguardo il colloquio sono diverse.

Garibaldi esprime il desiderio di salire sulla Gran Torre della città evitando però la folla numerosissima che assiepa la piazza; percorre quindi il passaggio sotterraneo che mette in comunicazione il palazzo vescovile con la cattedrale, ma «il popolo, o seppe o indovinò, e fu spettacolo stupendo: mille e mille volti raggianti di gioia si fissarono in quel volto di Redentore e un grido immenso ferì le volte del tempio: "Viva Garibaldi!". Tutti, uomini e donne, giovinotti e fanciulli, volevano baciare la fronte, stringere la mano del Sommo Uomo, beati di toccarne almeno la veste... ». Finalmente il generale sale sul Torrazzo e col cannocchiale scruta l’orizzonte in direzione di Solferino e di Mantova rievocando con accenti commossi il sangue versato in quella battaglia e la città virgiliana ancora sottomessa all'Austria.

Il soggiorno a Cremona è fittissimo di impegni, e il lunedì mattina, ultima giornata piena, desideroso di pace e di tranquillità esce alla chetichella dal portone di servizio di palazzo Trecchi e, accompagnato da Gaspare Trecchi e da Nino Bixio, effettua una breve escursione lungo il Po; durante il ritorno si ferma occasionalmente alla cascina «Roncacesa», di proprietà dei marchesi Barbò, dove viene accolto con incredulo stupore ma con grande simpatia dai contadini e dal conduttore Pietro Paloschi. Visita le stalle, accetta una frugale colazione a base di latte appena munto e di pane biscottato che in lui suscitano echi nostalgici di agreste serenità e, al momento del commiato, esclama: «Vi ringrazio molto, tutto questo ricorda la mia Caprera…»

E così, quando il mattino  di martedì 8 aprile 1862 Garibaldi lascia la città a bordo di un traghetto (un’inattesa piena del Po aveva seriamente danneggiato il ponte di barche) salutato da migliaia di cremonesi, in tutti scende una inesprimibile commozione: Garibaldi, in quei tre giorni, si era identificato in essi, ed i nostri concittadini avrebbero portato nel cuore il ricordo di un personaggio straordinariamente umano e popolare. Nel loro animo restavano le sue ultime parole, pronunciate mentre il barcone si allontanava dalla nostra sponda: «Addio miei buoni cremonesi, non dimenticherò mai la vostra accoglienza. Viva l'Italia! Addio! Addio!».

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su La Provincia

Caratteri rimanenti: 400

Prossimi Eventi

Mediagallery

Prossimi EventiScopri tutti gli eventi