L'ANALISI
06 Gennaio 2020 - 07:00
Per portare a termine l’uccisione del generale e di sua moglie fu utilizzato un «gruppo di fuoco». Lo stesso già impiegato per compiere i delitti più eclatanti decisi dalla «Commissione»
PALERMO — Il pentito di Cosa nostra Francesco Marino Mannoia ha deciso di parlare e lo sta facendo fino in fondo.
Ieri, nell'aula-bunker dove si celebra il maxiprocesso, un colpo di scena. Mannoia ha affermato, con la sicurezza che lo distingue, che i «catanesi» non c'entrano con il delitto Dalla Chiesa. Come a dire che il boss Nitto Santapaola, condannato all'ergastolo per la strage di via Carini, è estraneo ai fatti.
Secondo il pentito non c'era alcun bisogno di scomodare gente di fuori, dal momento che la Commissione aveva a disposizione il «gruppo di fuoco» che solitamente portava a termine le esecuzioni.
Un lungo capitolo della testimonianza ha riguardato le atroci imprese di Cosa nostra che Mannoia ha definito «un demone». Così ha raccontato di Antonino Rugnetta, un «picciotto» strangolato nella camera della morte.
Intanto a New York, dietro versamento di una cauzione di 2 milioni di dollari, sono stati concessi gli arresti domiciliari a Gambino, il boss di Cosa nostra arrestato proprio due giorni fa grazie alle rivelazioni di Mannoia.
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