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1 febbraio 1970

Colli Lanzi, un anno dopo

Il poeta di Cremona. Un uomo uno stile

Annalisa Araldi

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aaraldi@publia.it

01 Febbraio 2019 - 07:00

Colli Lanzi, un anno dopo

Esattamente un anno fa, come oggi, moriva Camillo Colli Lanzi.

Noi del giornale eravamo abituati a vederlo spesso. Ci portava le sue poesie da pubblicare, ci diceva quello che stava preparando, si chiacchierava del più e del meno. L’immancabile sigaretta in mano, dritto come una spada. Un signore.

A volte portava il nipotino di cui era fierissimo («El ga 'na lingua…»).

Un anno fa, come oggi, il buon Camillo chiudeva gli occhi per sempre. Dire che per Cremona è stata una grave perdita è ripetere un luogo comune. Ma è proprio così. Vogliamo ricordare l’uomo: con quella umanità che lo rendeva tanto caro; con quel tratto affabile, cameratesco e nello stesso tempo aristocratico. Un uomo che aveva dello stile.

Quando entrava in redazione si annunciava così: «Il Piave mormorò: Camillo l’è chì amò…». Un giorno sorprese un ladro in casa sua; il malvivente riuscì in qualche modo a darsela a gambe. Colli Lanzi lo rincorse; qualcuno lo acciuffò. Parlandone, poi, con noi ci disse… di averlo preso a pugni. Alla sue età Camillo non si era dimenticato del Piave, degli anni passati tra gli «arditi». Non si sentiva anziano nonostante stesse per toccare i settanta. Aveva stile anche in questo.

Chi l’ha conosciuto, ci capisce.

È stato il maggior poeta dialettale cremonese, d’una tale ricchezza di mezzi da poter considerarsi fra i maggiori italiani, e la cui attività ha consentito l’attuazione d’una letterarietà dialettale che prima di lui (pur con gli altri notevoli poeti precedenti) non s’era potuta mai ottenere a Cremona con vera pienezza. Una letterarietà, che è stata possibile solo perché la sua poesia è stata sostenuta da un talento di grande inventività ed efficienza, che gli ha permesso di conseguire un ventaglio di temi fra i più ricchi che la poesia in dialetto italiana abbia mai offerto: dalla satira politica e di costume d’una potenza tempestosa, alle più delicate motivazioni ispirate all'amore e agli affetti familiari. E non si è limitato ad usare il dialetto cremonese, ma ha saputo ricorrere anche a quello romanesco e trarne pregevoli concretamenti. Infatti, fra le raccolte rimaste inedite figura pure una di Romanesche in cui s’incontra un dettato signorile ed elegante, entro il quale le vicende appaiono come fasce di velluto che si svolgano senza cedimenti e rigidezze.

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