L'ANALISI
21 Dicembre 2018 - 07:00
Giuseppe Ogliari partì per il Venezuela nel lontano 1878 - Le sue peripezie narrate dal pronipote Carlos da noi intervistato l'altro giorno a Crema
CREMA, 20. – Il cittadino venezuelano Carlos Ogliari, dirigente e comproprietario di una grande azienda agricola nei pressi di Caracas, mercoledì scorso è stato ospite di Crema. Lo abbiamo intervistato all'ora di cena in un noto ristorante della nostra città. I motivi giornalistici del colloquio sono facilmente riassumibili: il signor Ogliari è il pronipote di un nostro conterraneo che, emigrato come pioniere nei 1878 ha gettato nel Venezuela le basi di una fortuna che, ai giorni nostri, può essere valutata diverse centinaia di milioni. Il signor Carlos parla correttamente la lingua italiana, infiorandola anche di esclamazioni dialettali: questo perchè nella sua casa americana la lingua comune è la nostra ed anche per i suoi continui viaggi in Italia (specialmente a Treviglio) per l'acquisto di attrezzature agricole da portare nel Venezuela. La nostra conversazione è così filata sui binari di una linearità esemplare.
— Ci parli di suo bisnonno
— Si chiamava Giuseppe ed era nato a Trescore Cremasco. Quando partì dall'Italia aveva 25 anni. Era in canna e volle tentare l’avventura. Giunse a Caracas quando il governo venezuelano, che aveva da poco aperto l’immigrazione agli europei, decise di aiutare i pionieri. Gli diedero perciò un carro, un cavallo, dodici sacchi di sementi ed un aratro; gli assegnarono inoltre in proprietà una vasta area agricola da bonificare e gli augurarono buona fortuna.
— Era sposato?
— Non ancora. Quando giunse nel suo podere si mise le mani nei capelli: intorno a lui le paludi imperavano incontrastate. Dovette quindi rimboccarsi le maniche, scavare canali, sradicare piante e via di questo passo. Per fortuna, nei pressi c’era una «missione» di francescani che fecero del loro meglio per aiutarlo. Giunse così a sistemare un ettaro di terreno in seminò il grano ricevuto a Caracas. Pochi mesi dopo, quando si accingeva a mietere, la piena del fiume che scorreva nei pressi gli portò via tutto!
— Ricominciò daccapo?
— Neanche per sogno. Si trasformò in «bandeirantes» cioè in cercatore d’oro. Nell'interno incontrò una tribù di «indios» cui si aggregò per parecchio tempo, fungendo una volta anche da testimone ad un matrimonio. La cosa mi è stata raccontata dal nonno, al quale il mio avo l’aveva riferita più volte. La cerimonia venne officiata davanti allo stregone della tribù: come segno nuziale, lo sposo tatuò la sposa dal centro della fronte fino alla punta del naso. È questa una tradizione che le tribù di «indios» che abitano l’interno del Venezuela conservano tuttora.
— Torniamo a Giuseppe Ogliari. Trovò le pepite d’oro?
— Neanche per sogno. Tornò sulla costa e, nei pressi di Caracas, si mise al servizio di un pioniere più fortunato di lui, un emiliano, la cui terra aveva cominciato a fruttare. L’emiliano morì poi in un incidente di caccia e mio bisnonno sposò la vedova. Da allora, lavorando senza soste, costruì la fortuna della mia famiglia. Dall'unione nacquero quattro figli ed io sono uno dei nipoti del primogenito.
— Non tornò mai in Italia?
— Nemmeno una volta. Dopo le difficoltà iniziali aveva trovato nel Venezuela quello che cercava. Costruì anche la fattoria dove abita ancor oggi tutta la famiglia Ogliari che, per la precisione, è formata da ben 38 persone appartenenti a tre generazioni.
— Lei viaggia continuamente. Conosce quindi alla perfezione sia l’Italia che il Venezuela. Si trovasse nei panni di suo bisnonno, ne ripeterebbe l’esperienza?
— Neanche per sogno. Il Venezuela è un bel paese, giovane, dinamico ed intraprendente. È comunque ancora ben distante dal progresso che io noto nell'Italia Settentrionale. D’accordo: il sud è tutta un’altra cosa. Nella Valle del Po si marcia veramente bene. Sa cosa dico? Fossi venezuelano povero, emigrerei in Italia. Ai giorni nostri l’America è qui da voi!
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