L'ANALISI
18 Settembre 2018 - 07:00
Trescore Cremasco fu un porto dell'isola Fulcheria
Il mulino dell’Alchina fu il covo di Barbara, “la fattucchiera del diavolo”
Sull'antica « Strada alta dell'isola Fulcheria che, seguendo il " Dosso del cervo ", collegava un tempo Crema con la Ghiaradadda, sorgevano nel nono secolo dopo Cristo tre villaggi di pescatori denominati rispettivamente Merlo, Chiusure e Tedoldo. Queste « tres curtes » erano indipendenti ed agivano ognuna di testa propria... Una triste notte il fuoco si impadronì del Tedóldo: in poco tempo arsero tutte le capanne tramutandole in cumuli di cenere. Terrorizzati, i poveri pescatori dello sfortunato villaggio fuggirono nella notte, chiedendo asilo agli abitanti del Merlo e delle Chiusure. L'ospitalità venne concessa ed il giorno, dòpo i maggiorenti dei tre villaggi tennero un consiglio al termine del quale si decise la costruzione di nuove capanne nell'area esistente tra i due borghi.scampati alla furia distruggitrice del fuoco: la nuova località prese il nome di " Tres curtes" che col passar del, tempo si tramutò in Trescore.
Il mulino dell’Alchina fu il covo di Barbara, “la fattucchiera del diavolo”
L'Alchina è un canale di irrigazione scavato sulla fine del quattordicesimo secolo ad iniziativa dei fratelli Gaspare e Gherardo Alchini; il corso d'acqua ha un tracciato lungo una trentina di chilometri ed alimenta numerosi mulini uno dei quali, posto in territorio di Trescore, ha una storia interessante fatta di favolose leggende e di strane avventure in cui troneggia la figura di Barbara, la « fattucchiera del diavolo ».
Il «mulino dell'Alchina » venne costruito nel 1541 e per alcuni secoli servì all'unico scopo di macinare il grano. Verso la fine del Settecento, l'edificio aveva perso l'antico splendore, e si era tramutato in poco più di un rudere: vi aveva preso dimora una donna che esercitava la professione di fattucchiera; si chiamava Barbara ed aveva alle sue dipendenze uno sciancato, a nome Peroppio, che il popolino aveva soprannominato « diavolo » per le sue forme sgraziate e per il suo volto spiritato.
Barbara era perciò conosciuta come « la fattucchiera dei diavolo»; riceveva i suoi « clienti » due sole sere alla settimana anche se nelle rimanenti cinque sere i dintorni del mulino registravano un via vai continuo di strani tipi. Nessuno aveva mai visto il vero volto di Barbara: le persone che ricorrevano a lei per scacciare il «malocchio» o per far la «fattura» a qualche nemico, la descrivevano come una orribile vecchia dal naso adunco, rintanata con le sue «misture», con un corvo ed una civetta nel sotterraneo dell'edificio.
Un giorno incominciarono a propagarsi delle indiscrezioni sulla vera attività di Barbara: i misteriosi individui che nottetempo si riunivano al mulino altro non erano che dei feroci briganti i quali si recavano dalla « fattucchiera del diavolo » a ricevere gli ordini per le loro piratesche imprese. La gente incominciò ad aver paura a circolare dopo il calar del sole; i viandanti che si fossero trovati à passar da Trescore diretti a Treviglio o a Crema ricevevano un amichevole invito a non affrontare di notte i perigli dell'infida « strada alta della Ghiaradadda» infestata dai briganti.
Il bello è che, nonostante tutto quello che si diceva sul suo conto, Barbara continuava ad esercitare la sua professione di fattucchiera ed il numero dei suoi visitatori, anzichè diminuire, aumentava.
Il 9 maggio del 1796 tutte le truppe austriache, in ritirata davanti all'armata napoleonica, abbandonarono la Lombardia dirette verso il Veneto. Il giorno dopo a Trescore giunse un drappello di cavalleria francese che prese possesso della località in nome di Napoleone. Naturalmente venne organizzata una epurazione dei tipi politicamente e civilmente poco desiderabili ed alle orecchie dell'ufficiale francese comandante la guarnigione, giunse anche la « storia » della « fattucchiera», del diavolo e dei «briganti del mulino». Lo zelante ufficialetto decise immediatamente di far piazza pulita e partì con una decina di cavalieri verso l'antro della strega: Barbara venne catturata mentre stava dormendo ma, nonostante tutte le ricerche, non si riuscì a trovar traccia né dello sciancato Peroppio né di tutti gli altri briganti.
La « fattucchiera », legata sopra un carro, venne portata in paese e rinchiusa in un locale dello stabile dove era stato impiantato il comando militare: ripulita dagli impiastri che le deturpavano il volto, la donna mostrò il suo vero essere, ben diverso da come la fantasia popolare l'aveva raffigurata: Barbara non era punto una «vecchiaccia» ripugnante bensì una bella donna di media età dal portamento fiero e coraggioso. Nessuno seppe mai perchè avesse scelto la sua orribile professione né perchè mistificasse le sue sembianze: il fatto storicamente provato è che il comando francese la condannò ad essere arsa sul rogo.
I preparativi furono svolti in breve volger di tempo; il luogo scélto per l'esecuzione della condanna era il «mulino dell'Alchina» teatro dei « misfatti » della « fattucchiera del diavolo ». I militari francesi colsero l'occasione per abbandonarsi ad un vero e proprio baccanale: vennero, uccisi numerosi capretti che, passati allo spiedo a lento fuoco, furono giocondamente innaffiati da parecchie otri di vino. Sul far della sera, Barbara venne issata su un carro che era seguito da una decina di cavalieri napoleonici (che. a mala pena, si reggevano in sella) e da un codazzo di gente.
Nei pressi del mulino avvenne però l'imprevisto: dalla fitta boscaglia che contorno va l'edificio sbucarono una dozzina di cavalieri incappucciati che si gettarono sui sopravvenienti, liberavano Barbara e sparirono nelle prime ombre della notte. Superato il primo attimo di sbigottimento i francesi fecero fuoco contro i liberatori; uno solo dei cavalieri misteriosi venne colpito e cadde è all'arcione: quando lo guardarono in volto, i soldati si trovarono di fronte al macabro ghigno di Peroppio, morto per salvare la sua padrona.
Da allora, nessuno senti più parlare di Barbara, la «fattucchiera del diavolo»: la strana figura dell'avventurosa donna è però rimasta nei folclore locale, fornendo materie a tutte le leggende che i nonni di Trescore narrano ai toro nipotini nelle lunghe sere invernali.
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