La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: Pacxe a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi! Detto questo soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati, a coloro a cui non perdonerete non saranno perdonati ». Tommaso uno dei Dodici, chiamato Didimo, nonera con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro:«Se nonvedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto ilmio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù ...poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le miemani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco e non essere incredulo, ma credente!»...
La Pasqua è una cosa seria. Difficile. Che richiede molta fede. A volte, con semplicità, si sente: «A me, don, sinceramente, piace di più il Natale. Senti più lo spirito di casa». E c’è una ragione: davanti alla culla di Betlemme, con Maria e Giuseppe inginocchiati, il bue e l’asino e la paglia, il freddo, i magi che arrivano da lontano, i pastori e tutte le statuette del presepio, le luci e l’albero, una spruzzatina di neve, chi non si emoziona? Nella Pasqua siamo invece davanti ad una storia drammatica: un innocente condannato a morte sul quale, la violenza dell’uomo, si è abbattuta. Siamo anche davanti ad una storia di libertà e di fiducia, come la pagina pasquale di oggi annuncia. La storia dell’apostolo Tommaso, soprannominato Didimo, cioè ‘g e m e l lo ’ di ogni credente che legge quel brano, interpella la mia fede nel Risorto, vuol vedere se quel Cristo, sì, proprio quello inchiodato, trafitto e ucciso, è ancora vivo. Se le sue parole di speranza erano vere. Il vangelo non racconta le pretese di Tommaso, quanto l’amore compassionevole e la divina misericordia uscite dal cuore spezzato del Crocifisso Risorto. Egli è il vero Pane dato ai discepoli perché, saziati e sfamati, possano essere, tra i fratelli altrettanto cibo; la vera vite, attaccati alla quale, si può portare molto frutto; il vero Pastore che ha dato la vita per il suo gregge; la via e la verità che offrono gratuitamente la vita. Quel Maestro ascoltato, conosciuto e seguito ora torna per incontrare i suoi discepoli e rafforzare la loro fede attraverso il dono dello Spirito. Travolti dalla misericordia del Signore hanno il dovere di annunciare, senza timore, l’amore del Padre che in Gesù si è fatto carne e ha posto la tenda in mezzo agli uomini. E Tommaso non c’è. Quando il Signore arriva ciascuno di noi è, spesso, altrove. «Abbiamo visto il Signore». I discepoli chiamano Gesù col suo vero titolo regale, lo riconoscono, nella fede, come vero Dio. Tommaso, invece, fatica. «Se non vedo, se non metto il dito e la mano non crederò». Ha ragione: la fede non è un’esperienza solamente di altri, ma anche personale. Ci devo passare in mezzo io, voglio sperimentare io di persona, voglio credere se vedo, se capisco, se ne sono certo. Quanti Tommaso, durante le confessioni pasquali, appoggiati al confessionale, con le lacrime agli occhi. «Sono qui dopo ventisei anni, ho trovato il coraggio di liberarmi da questo peccato grave… è una vita che non mi confesso, ma oggi ho sentito una forza che mi portava qui». Io non mi sorprendo del Tommaso che c’è in me e non mi vanto della mia poca fede, ma ringrazio infinitamente il Signore per la pazienza di tornare, ogni volta, nel cenacolo della mia esistenza per dirmi: «Non essere più incredulo, sii un uomo di fede». E’ la nostra Pasqua. Essere uomini e donne che credono perché hanno visto il Signore all’opera. Auguro a tutti di essere beati, cioè felici, nel fare l’esperienza gioiosa di un vangelo che sa ancora cambiare la vita. don Marco d’Agostino