L'ANALISI
16 Marzo 2013 - 18:42
Via Brescia, via Persico, via Esilde e Francesco Soldi, via Endertà sono le strade storiche, il nucleo originario del quartiere san Bernardo. Fino agli anni ’60, prima che il boom ediliziolasciasse la sua impronta, il quartiereera quasi tutto lì, con i suoi grandicortili e le case di ringhiera, strettofra i due passaggi a livello, una distesadi campi e ortaglie, una sequela dinegozi e negozietti, stalli, osterie e barettini.La gente era povera ma pienadi dignità: braccianti ma soprattuttooperai: alla Cavalli e Poli (quella dellefamose aste dorate), all’oleificio Zucchi, allo zuccherificio, (oggi alsuo posto ci sono il Penny e via OrtiRomani), al mulino Rapuzzi detto elmolinòon, alla filanda di via san Bernardo.Sul quartiere vegliavano lachiesa e il palazzo Duemiglia, uno difronte all’altro sulla via Brescia a ridossodelle rotaie. Il Duemiglia (omeglio ex Duemiglia) e san Bernardosono i protagonisti della quartapuntata di ‘Prìma de desmentèegase’,il progetto ideato e realizzato daCRarT - Cremona Arte e Turismo incollaborazione con Gianluigi Boldorie il quotidiano La Provincia. Nellescorse puntate ci siamo occupati diporta Romana-san Michele, sant’Ilario-san Bassano e Cristo Re-VillaggioPo. Il viaggio ideale attraverso i rionicittadini, sia dentro sia fuori le mura,ha lo scopo di ricostruire, attraverso icontributi e le testimonianze orali,quindi affidate unicamente alla memoriae al sentito dire, la nostra storiapiù recente.Se guardiamo alla vivacità che popolavie e strade, non possiamo non accorgerciche se cambiamenti e trasformazionici sono stati, non sonostati radicali, tanto da stravolgere lanatura stessa del quartiere e dei suoiabitanti. E’ vero che campi e ortagliehanno lasciato il posto a nuovi edificicommerciali e case d’abitazione, mail cuore del quartiere è ancora intatto:le case con le logge, il Cavo Cercaper alcuni tratti scoperto, i pensionatiche parlano sempre il dialetto e custodisconouna memoria di ferro: inegozi che costellavano via Brescia?Eccoli: la salumeria Verga, il sellaioche vendeva anche le bocce e venivaappellato ‘lo zio’, la pasticceria dellaTumasùna, Ciudìin il ferramenta, lostallo con l’osteria della Fina, Gregoriil macellaio e l’osteria Merlini.
Almeno fino alla metà degli anni ’70, ricorda la gente di san Bernardo, il Cavo Cerca (una diramazione del Naviglio Civico), scorreva a cielo aperto lungo la via Brescia dopo essersi arricchito delle acque del Cavo Robecco e passava davanti al palazzo Duemiglia (a cui si accedeva da un ponte con i parapetti in mattoni), risaliva l’attuale via Cavo Cerca attraversava via Persico, via dell’Annona, via Mantova quasi di rimpetto ai Camilliani. Piegava in via Buoso da Dovara fino a via Giuseppina e da qui nel Po. Una copertura abbastanza recente che non ha cancellato nella memoria dei ragazzi di ottant’anni e più le esortazioni della mamma: «Romano, ciapa la pügnatìna e la fursìna, incóo gum de mangiàa....». Era il tempo di guerra, tempo di magra, i ragazzotti si tuffavano nel Naviglio e risalivano con manciate di ‘bòs e sèerle’ e il pasto era assicurato, almeno per quel giorno. Si racconta di tale Carlo, un giovanotto assai lesto di mano che si tuffava nel Naviglio e spariva. Qualche attimo di paura, ed eccolo risalire dalla spaletta del ponte con un pesce in bocca e due in mano. L’acqua era pulitissima, i contadini che si dirigevano al Foro Boario per il mercato settimanale usavano il cappello che riempivano d’acqua per dissetarsi. Mettere qualcosa in tavola, a quei tempi, era un’impresa davvero difficile. Si andava a ‘prendere’ il latte al mercato del Foro Boario, «il vigile ci beccava sempre. Dopo buttava il latte in strada, che spreco.... via il vigile, i paradùur ci chiamavano indietro e ci davano un pentolino pieno di latte da portare a casa». Orti e ortaglie inducevano in tentazione, come gli alberi da frutto del grande parco di villa Angiolina, un tempo bellissima (oggi, ristrutturata, ha perso gran parte del suo fascino). Meno pericoloso arrampicarsi sulle piante che in doppia fila ornavano via Brescia nel tratto compreso fra i binari e porta Venezia. «Facevamo spalletta e su, a cogliere i prugnoli, primagialli poi neri, c’erano i noccioli, ci riempivamo le tasche, i vigili ci sgridavano e ci facevano scendere». Quando si dice l’arte di arrangiarsi. «Se siamo qui oggi, io a 84 anni lui a 83 è per l’acqua del Naviglio. Infatti ne abbiamo bevuta poca, del vino di san Bernardo, invece, ne abbiamo bevuto tanto....». Saggezza contadina, o giù di lì. Fatto sta che i ragazzi di san Bernardo, a dispetto dell’età, godono ottima salute. Lontani i tempi in cui si mangiava in fretta per scappare fuori a giocare. Frotte di bambini della Curt Granda, delle Cà Nove, del Casermòon, delle Casette, l’ agglomerato di abitazioni prima della muraglia della Col di Lana. Spesso i giochi in cortile o per strada finivano a sassate o con una scazzottata, i cosiddetti ‘pögn a l’orba’. Ma si faceva presto la pace e si ricominciava: si giocava con le figurine, a cavallo della scopa, a sgningol, alla corda, rincorrendo il cerchione di una bicicletta alla quale avevano tolto i raggi. Le interminabili partite a fubàl avevano luogo al cosiddetto Campo Inglese (forse perchè c’era stato un accampamento di soldati inglesi), una profonda buca all’incirca dietro il campo sportivo, più o meno dove oggi inizia via dell’Annona. La palla era fatta di stracci, ogni gol veniva segnato per terra con una canéla. Sfide furibonde che andavano sempre a finire con delle sassaiole venivano ingaggiate con i ragazzi di san Sebastiano, detti — per un motivo ancora a noi misterioso—‘quelli del trotter’. L’amicizia dei tempi dell’infanzia subì un grave attacco appena finita la guerra. Le sezioni dei partiti, il bar della cooperativa, l’oratorio (sempre rigorosamente diviso da un muro, maschi di qua, femmine di là) presero il posto dei cortili e del Campo Inglese. Iniziarono le scaramucce, la propaganda elettorale, i manifesti appesi persino alle tapparelle e poi strappati dalla fazione avversa, le discussioni interminabili. Gli amici di giochi e di bevute si guardavano in cagnesco, addirittura si evitavano. Nel 1974 qualcuno ebbe la strepitosa idea di tornare a rivedersi, a distanza di tanti anni, per mettere la parola fine (con i piedi sotto il tavolo) a dolorosi anni di indifferenza.Unsuccesso insperato, giunsero sanbernardini da mezza Europa, oltre che da tante città d’Italia. «Una cosa da piangere, siamo tornati ragazzi. C’era la politica, ma quel giorno lì non c’era». Mentre i ragazzotti giocavano a pallone (san Bernardo è stata una fucina di talenti, da Bibi Vivolo ai fratelli Ravani solo per citarne tre) le bambine trascorrevano i pomeriggi d’estate nei cortili assolati di una o dell’altra, controllate a vista dalle mamme: terra sollevata, nascondino, le conte, le bambole. Era tradizione che le bambine ricevessero in dono una bambola nel giorno della prima comunione. Così fu anche per Franca Zellioli, per quasi vent’anni maestra alla scuola elementare Stradivari che nel quartiere è andata a vivere da bambina. Era il suo papà il negoziante di articoli per sellai appellato ’lo zio’, vendeva anche le bocce. Lì vicino, all’inizio di via Brescia, una salumeria: «Guarda, ti sanguinano le mani», scherzava il titolare. Così mollava a terra la spesa appena fatta. La sua casa confinava con uno stallo dal grande cancello di legno. Al di là del cancello c’era Pirlìiin el paradùur: «Noi giocavamo in cortile, lui faceva finta di prenderci per il collo usando un bastone ripiegato a uncino: se ve ciàpi...». Pirlìin mangiava e dormiva nelle stalle di via Brescia, allora erano parecchie. «Pirlìin ghet fam? Ve che te dò da mangiàa!». Ma lui non si muoveva, aspettava che qualcuno di buon cuore mettesse il pentolino del cibo fuori dalla porta e se ne andasse, poi usciva, quando il campo era libero.Unuomodi grande pudore, aveva frasi di enorme saggezza eppure la gente lo considerava un ignorante. Come si sbagliava».Commenti all'articolo
emidealbe
23 Novembre 2016 - 15:53
Gentilissima Signora Teschi, grazie di cuore! Con il Suo articolo mi ha fatto vivere un po' dell'infanzia di mia mamma, che da tanti anni non c'è più; lei mi raccontava di essere nata sì a Cremona, ma più esattamente a Duemiglia Cremona ed ora, grazie al Suo articolo, ho potuto finalmente capire dove Duemiglia si trovava esattamente. Naturalmente erano i luoghi che già conoscevo (mia mamma era nata nel 1919 in via Endertà in una casa popolare, nel 1919 ancora esisteva il comune autonomo di Duemiglia), ma che nella mia infanzia non avevo mai esattamente ricollegato (per me quella era Cremona e basta!) Mia mamma era figlia di un operaio, Giulio Avalli, sua madre si chiamava Elvira Loffi: lei poi lasciò Cremona, cercando lavoro a Bologna dove incontrò l'amore della sua vita, un medico, mio padre Domenico. Grazie ancora del suo bell'articolo! Solo una domanda finale: ma quel bell'edificio che si vede nella foto era per caso la sede comunale di Duemiglia? Un caro saluto! Emidio De Albentiis
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