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PILLOLE DI SALUTE

Tumore al seno: «Così si batte sul tempo»

Il direttore della Breast Unit dell'Asst di Crema, Filiberto Fayer: «Oltre 200 casi all'anno, lo screening è fondamentale anche per le donne giovani».

Cristiano Mariani

Email:

cmariani@laprovinciacr.it

23 Ottobre 2025 - 05:25

CREMA - Laurea in Medicina a Pavia, specializzazione in chirurgia d’urgenza a Milano e master in senologia, Filiberto Fayer è il direttore del dipartimento di Breast Unit dell’Asst di Crema.

Dottore, quanti sono i casi di tumore alla mammella diagnosticati, annualmente, nel distretto di competenza dell’Asst di Crema?
«Su una popolazione di circa 160.000 persone, parliamo più o meno di 200-210 casi l’anno, dei quali 150 vengono operati. Mentre gli altri seguono differenti percorsi per il trattamento».

Qual è l’età media delle pazienti che si rivolgono a voi?
«L’età è abbastanza trasversale, con il picco intorno ai 55-60 anni, ma il dettaglio sta diminuendo sempre di più. I controlli, pertanto, vanno fatti fin da giovani. Normalmente si dovrebbe cominciare intorno ai 35-40 anni».

Ottobre è il mese della prevenzione in rosa. Cosa significa oggi, concretamente, fare prevenzione?
«Fare prevenzione significa prendersi cura di se stessa, con un anticipo diagnostico sulla malattia, qualora dovesse manifestarsi. Avere una malattia che si presenta in una forma iniziale ci permette un risultato migliore e con un minore impatto anche terapeutico. I sistemi messi in atto da noi sono fondamentalmente quelli della Regione, ossia lo screening mammografico. Tutte le donne lombarde, dai 45 ai 50 anni, vengono chiamate annualmente per sottoporsi a una mammografia. Oltre quest’età, una volta ogni due anni».

Cosa accade quando vi è una diagnosi sospetta?
«A seguito della mammografia si avviano una serie di processi. Se i radiologi riscontrano qualcosa da approfondire, le pazienti vengono richiamate per fare un’ecografia. Alcune volte si procede con una biopsia e questo ci permette di fare una diagnosi. Dopodiché, se la diagnosi è patologica, inizia un percorso di stadiazione della malattia e quindi iniziano i trattamenti farmacologici e chirurgici».

Ormai l’aspetto psicologico è parte integrante del percorso stesso di cura. La vostra unità offre anche questo tipo di servizio?
«Assolutamente sì: vengono supportati sia la paziente sia la famiglia, in questo percorso. La diagnosi di una malattia di questo tipo, ovviamente, crea un notevole sconforto. Quindi un supporto mirato professionale è assolutamente necessario».

La ricerca scientifica sta cambiando il modo in cui si interviene per contrastare il tumore sereno?
«L’evoluzione è sempre in corso sia chirurgicamente, con nuove tecniche, ma soprattutto quello che fa la differenza è l’integrazione, che portiamo avanti. La chirurgia non è separata dall’oncologia, non è separata dalla radiologia: è tutto un percorso che porta verso un risultato migliore. L’interazione tra più professionisti, tra più specialisti, ci permette infatti di ottenere dei risultati migliori. I nuovi farmaci, le nuove tecniche e le nuove possibilità di diagnosticare, per individuare il tumore in maniera precoce, ci portano a un risultato sempre migliore. E la sopravvivenza, per questo tipo di malattia, è già molto alta e sta crescendo sempre di più. Purtroppo aumentano anche i casi, questo è vero, in età giovane. Però, a fronte di questo aumento, cresce anche il numero di persone che guariscono. Con una percentuale che si attesta intorno al 88-90% di sopravvivenza, a cinque anni».

Quale messaggio si sentirebbe di lanciare alle donne in questo ottobre rosa?
«Sicuramente quello di prendersi cura di se stesse: fare prevenzione vuol dire volersi bene, vuol dire guardare a noi in prospettiva. Molto spesso c’è un po’ di paura nel prendere in considerazione l’idea di farsi seguire. La cosa importante è aderire ai programmi di screening, ma possibilmente anche sottoporsi a una visita dai senologi nelle varie strutture, perché il percorso dev’essere personalizzato su ogni donna. Lo screening guarda in maniera trasversale a tutte le donne ed è una cosa fondamentale; ma ancora più specifico è il rivolgersi alle persone in maniera singola. Ogni donna ha un suo rischio, un seno diverso, una familiarità differente. Quindi, anche il modulare i controlli va fatto sul singolo caso».

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