L'ANALISI
27 Giugno 2017 - 21:31
CREMONA - Ci sono l’ingegnere, il matto, la sartina, il ragioniere, il disertore, quasi fosse una Spoon River padana: dell’inchiesta sui crimini commessi dalla polizia fascista a Villa Merli, Barbara Caffi ha raccontato le storie, le vicende degli uomini e delle donne che ne furono involontari protagonisti. Lo aveva fatto sul giornale, nelle ventun puntate pubblicate da ottobre a marzo su «La Provincia», e lo ha fatto nel libro «Per quanto ch’io soffra nel morire». Villa Merli, il dossier ritrovato. Il volume, stampato ed edito da Fantigrafica, sarà presentato alle 18,30 di mercoledì 28 giugno nel cortile Federico II del Comune come anteprima del Porte Aperte Festival. Con l’autrice, interverranno Vittoriano Zanolli, direttore de «La Provincia», Gian Carlo Corada, presidente dell’Anpi, e, come moderatore, Mario Feraboli, tra gli organizzatori del Paf.
L’inchiesta su Villa Merli risale all’estate del 1945, a guerra appena finita. Gli atti furono trasmessi in procura nell’ottobre di quell’anno e il processo fu celebrato tra l’aprile e il maggio del 1946, poco prima che il referendum sancisse la nascita dell’Italia repubblicana. Poi, il 22 giugno del 1946, tra i primi atti del neonato governo De Gasperi, venne promulgata l’amnistia Togliatti, un provvedimento di condono pensato per pacificare il Paese. L’amnistia prevedeva il condono delle pene, non l’estinzione del reato né, tanto meno, la distruzione degli atti delle inchieste. Ma il rischio di interpretazioni estensive della legge era reale, forse circolarono voci. Alcuni funzionari della questura cremonese decisero per questo di sottrarre gli atti relativi a Villa Merli, per conservarli a futura memoria. Di fatto commisero un reato, ma salvarono la ‘loro’ inchiesta. Uno di loro custodì il dossier, chiese al figlio di farlo conoscere dopo che fossero passati almeno cinquant’anni. Oltre settant’anni dopo, quel dossier è uscito dal cassetto ed è stato restituito alla memoria dei cremonesi. Analizzando e riportando i documenti sul giornale prima e ora nel libro, Barbara Caffi si è attenuta rigorosamente alle fonti. Tra testimonianze, memoriali e deposizioni, ha scelto alcune storie individuali per raccontare uno spaccato di uno dei momenti più tragici e dolorosi della storia cremonese. Nel libro, sono stati aggiunti alcuni capitoli più esplicitamente narrativi o personali.
Dall’estate del 1944 alla fine della guerra, negli ultimi mesi del totalitarismo fascista e della Repubblica sociale, Villa Merli fu la sede dell’Ufficio politico investigativo, la sezione della Guardia nazionale repubblicana che si occupava di reati politici e annonari. Da Villa Merli, che si trovava tra viale Trento e Trieste e via Dante, passarono in molti: partigiani, renitenti alla leva, sovversivi o presunti tali. Molti furono torturati, parecchi furono condannati a morte e fucilati, altri subirono fucilazioni simulate o pressioni psicologiche fortissime. Il titolo del libro: «Per quanto ch’io soffra nel morire» richiama ciò che disse Renato Campi il giorno prima di essere fucilato. Era un partigiano, aveva diciannove anni compiuti da poco.
C’è molto dolore nel libro, un dolore che è stato necessario raccontare. Anche per questo, l’autrice devolverà i proventi della vendita del libro alle onlus Fondazione Dopo di noi insieme che opera a sostegno della disabilità grave e Barjo Imè per la costruzione di una scuola nel sud dell’Etiopia.
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