L'ANALISI
02 Settembre 2022 - 05:10
Stefano Allegri
CREMONA - Sa bene cosa servirebbe e sa ancora meglio che, pur ottenendolo adesso, potrebbe essere già tardi: «E del resto, abbiamo lanciato l’allarme un anno fa...». Parla al plurale e, da voce dell’industria in generale, non nasconde l’amarezza del comparto per essere rimasto inascoltato: «Le nostre imprese si sentono e sono di fatto abbandonate». Avverte il rischio: «Siamo sull’orlo del baratro». Ma non si arrende: «Ci spenderemo con tutte le nostre forze». Sta in prima linea sul fronte dell’emergenza energetica, da leader e da imprenditore, avvertendo la responsabilità della carica e il peso di chi ogni giorno deve mandare avanti la propria attività rispondendo a se stesso e ai propri dipendenti, Stefano Allegri, presidente dell’Associazione Industriali della provincia di Cremona. Deciso a mobilitarsi per salvare il salvabile e convinto che far conoscere la situazione reale sia, prima di tutto, un dovere di trasparenza.
Presidente, avete scelto di lanciare una campagna di comunicazione specifica sul quotidiano La Provincia e sui media locali. Con quale obiettivo?
«Perché riteniamo che in questo momento i territori abbiano un ruolo di richiamo e di appello rispetto alla politica sul tema che oggi ci sta maggiormente angosciando. Se ricorda, già alla fine del 2021 avevamo lanciato l’allerta sul fronte dei costi energetici, ma ora le cose sono precipitate: se lo scorso anno la situazione era preoccupante, oggi l’industria italiana è sull’orlo del baratro. E non è un eufemismo. Ecco: con questa campagna vogliamo richiamare l’attenzione del Governo in carica e di quello che si formerà tra 60 giorni».
Confindustria tutta, a livello locale, regionale e nazionale, è mobilitata. Gli interventi dei presidenti Carlo Bonomi e Francesco Buzzella si susseguono: è il segno che il momento è drammatico?
«Le nostre imprese si sentono e sono di fatto abbandonate. A distanza di un anno dal nostro primo allarme sui rincari energetici, ad ottobre 2021, la situazione è precipitata e gli indici di mercato continuano a far registrare un record dopo l’altro. Il risultato è che l’industria italiana, tra le più competitive al mondo, è a rischio desertificazione nel disinteresse di Unione Europea, partiti politici e sindacati. In 12 mesi, il costo dell’energia è aumentato di oltre il 600% mentre, rispetto al prezzo medio 2015-2019 (20 euro/Mwh) l’aumento del prezzo del gas è del 1500% (300 euro/Mwh)».
Quindi?
«Quindi non possiamo raccontarci che tutto va bene, perché le difficoltà e le preoccupazioni sono enormi. Il 50% delle imprese italiane è prossimo alla chiusura portando ripercussioni occupazionali e sociali non quantificabili. Il presidente regionale, Francesco Buzzella, ci offre uno spunto di riflessione concreto, in questo caso di un’azienda energivora: una bolletta passata da 143 mila euro nel 2019 a 1 milione e 456 mila euro con un aumento del 1000%. E questo nel mese di luglio. Da agosto ad oggi i prezzi sono ulteriormente aumentati. L’energia è un vettore trasversale ed incide su qualsiasi attività produttiva e su qualunque bene, terminando la propria corsa su famiglie e lavoratori».
Le contromisure?
«Le azioni che proponiamo sono svariate, in primis un’azione fiscale tagliando l’Iva e prolungando i meccanismi dei crediti d’imposta; poi è necessario disancorare il meccanismo del prezzo dell’energia elettrica da quello del gas, perché il 60% dell’elettricità non viene prodotta da gas; vanno accelerate le pratiche autorizzative di impianti che producono energia da fonti rinnovabili e, secondo noi, va costruito un piano energetico nazionale ed europeo che ci metta in condizione di essere davvero autonomi nel futuro. Ripeto quello che già avevamo sostenuto durante la nostra assemblea dell’8 novembre dello scorso anno: sulla base di valutazioni non razionali quanto ideologiche, l’Europa, senza una vera programmazione, ha avviato un percorso di transizione ecologica di fatto non sostenibile, annullando anche la possibilità di utilizzare il gas come vettore energetico a basso impatto climalterante a supporto di questo progetto. Oggi il gas non russo e non proveniente da stati con forme di governo incerte ci sarebbe e anche in grande quantità, semplicemente si è smesso di cercarlo e di estrarlo, preferendo costringerci ad acquistarlo da altri. E il risultato è che in Europa sono state riattivate le centrali a carbone».
Potete reggere ancora?
«Così no. Finora le imprese sono state abbastanza capaci e flessibili ma adesso nell’industria abbiamo casi di costi energetici decuplicati. E aggiungo che le bollette di luglio ed agosto non sono rappresentative di ciò che ci aspetta nei prossimi mesi, quando si stimano valori dell’energia e del gas molto superiori agli attuali e così per tutto il prossimo anno e una buona parte del 2024. L’energia ha impatto diretto sui costi dei prodotti al consumo e quindi anche l’inflazione è destinata a crescere e ad incidere in modo marcato su redditi e potere d’acquisto delle famiglie. Le imprese non possono più attendere un ipotetico e improbabile accordo a livello europeo, né tantomeno un mese di promesse da campagna elettorale e i tempi di insediamento di un nuovo Governo. Serve un tetto al prezzo del gas e serve subito. È una questione prioritaria di sicurezza nazionale».
Senza quello, quali saranno i contraccolpi?
«Dal blocco degli investimenti, al fermo attività con attivazione dei meccanismi di protezione dei lavoratori come la cassa integrazione. E poi la delocalizzazione obbligata. Un altro problema è la crescita è la mancanza di protezione dalla concorrenza di produttori non europei, in grado di competere nei nostri mercati con prezzi finiti per noi non raggiungibili. Nei prossimi giorni, tra l’altro, la nostra associazione lancerà una survey proprio su questi temi per approfondire le aspettative, il blocco degli investimenti, le tensioni finanziarie e, appunto, il grande tema della cassa integrazione».
Temete che il ricorso possa essere enorme?
«Che la situazione sia sempre più grave lo testimoniano gli ultimi dati Inps: solo nei primi sette mesi del 2022, a livello nazionale la cassa integrazione straordinaria è salita del 45% rispetto a un anno fa e, probabilmente, non abbiamo ancora visto il peggio. Questo strumento ha un duplice significato: da un lato un’azienda che ferma la propria attività uscendo potenzialmente dal proprio mercato di riferimento, e dall’altro lavoratori che perdono il potere di acquisto, con una retribuzione che dall’80% scende al 50% e con risvolti molto preoccupanti sulla società, generando impoverimento perché ammortizzatori e orari ridotti vanno ad incidere sulle casse delle famiglie già messe a dura prova dal balzo dell’inflazione. Questo scenario, preciso, non riguarda solo l’industria ma anche il commercio e l’artigianato. Si sta verificando un lockdown energetico e temiamo per la tenuta dell’economia tutta. Non possiamo più aspettare».
Solo colpa della guerra in Ucraina?
«È dalla nostra assemblea dell’8 novembre dello scorso anno che stiamo sottolineando i risvolti connessi alle scelte europee di un modello di transizione ecologica oggettivamente incompleto, quantomeno perché manca un veicolo energetico di transizione. Oggi sicuramente la guerra amplifica la carenza di gas, però ricordiamoci tutti i no che sono stati detti negli ultimi anni: no all’estrazione del gas, no all’energia nucleare, no agli inceneritori».
E così via, anche ‘no’ all’industria?
«Come dicevo prima, ideologicamente si è pensato che il gas acquistato dalla Russia o quello proveniente dal trasporto navale fosse meno inquinante di quello che potevamo estrarre dai nostri giacimenti. Quello di oggi è purtroppo il risultato dell’affermazione di una piccola parte del nostro paese che troppe volte limita lo sviluppo economico che l’Italia si meriterebbe di avere».
Tutto questo alla vigilia del voto. Tra i candidati ci sono rappresentanti importanti del territorio e anche dell’imprenditoria locale: qual è la sua valutazione anche alla luce delle prime indicazioni date nei programmi?
«Prendendo atto che il governo Draghi ha dovuto smettere anzitempo il proprio percorso, l’augurio è che chi vincerà le elezioni abbia la consapevolezza della situazione attuale ed abbia le competenze necessarie per guidare il nostro paese fuori da questa crisi. Oggi siamo nel pieno di una campagna elettorale che per molti aspetti trovo personalmente deludente: la soluzione dell’attuale crisi energetica deve essere la priorità di tutti, e deve essere affrontata con pragmatismo e senso di realtà. Per fare questo auspico che le forze politiche, tutte, offrano candidati di qualità. Con grande orgoglio dico che il nostro territorio, in questo momento così decisivo, è stato in grado di presentare candidati di grande spessore ed esperienza. Confidiamo nell’elezione di Carlo Cottarelli, di Renato Ancorotti e di Silvana Comaroli».
Cosa chiederete a loro e agli altri?
«Domandiamo e domanderemo un ritorno ad una politica industriale vera, che questo Paese ha smesso di fare da molto tempo, tranne qualche recente momento come la brillante strutturazione del modello di finanza agevolata improntata su Industria 4.0. La presenza e lo sviluppo del sistema manifatturiero è un elemento di forza e competitività per l’Italia e sostenere le imprese non è un regalo ma una necessità del Paese: come dice spesso il nostro presidente Bonomi, è una questione prioritaria di sicurezza nazionale».
Intanto, però, le aziende non possono attendere. Hanno bisogno adesso, subito. L’associazione come si sta muovendo?
«Ci muoviamo su più fronti e con un unico obiettivo: essere vicini alle imprese aiutandole concretamente nella ricerca di soluzioni operative da attuare per attenuare la situazione contingente. L’associazione ha un consorzio dell’energia che lavora molto bene e che registra 60 aziende consorziate. Come avevamo fatto nel periodo di emergenza Covid-19 forniamo aggiornamenti quotidiani agli associati con indicazioni sull’andamento dei mercati; abbiamo attivato survey sul tema del caro bollette che ci permettono di approfondire l’argomento sul territorio; realizzeremo un vademecum che possa essere utile agli associati nel percorso di indirizzo nelle scelte di altre fonti di approvvigionamento energetico e gli impatti economici e burocratici ad esse correlati. Valuteremo infine con le autorità competenti un continuo contatto e aggiornamento rispetto alle procedure per gli investimenti sulle fonti rinnovabili». Sperando di non restare, ancora una volta, inascoltati: tempo per rimediare non ce ne sarebbe più.
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