L'ANALISI
Un’indagine del detective ertitreo Colaprico
08 Agosto 2014 - 14:50
Cosa c’è di più italiano del gioco delle tre carte, negli anni ’80 perfino legittimato da un tribunale ammirato dell’abilità di chi lo gestisce? E così, in una veste inedita per mole e spazi dei beni coinvolti, eccolo protagonista di un racconto scritto col sorriso sotto i baffi, con piacere e ironia, nel raccontare una storia tipica dell’Italia di ieri e di oggi. Vista però da lontano, dalla colonia d’Eritrea nell’ultimo anno dell’Ottocento, così che appare ancor più esemplare e permette di dare spazio a ambientazione, contorni e personaggi inusuali e verissimi, come la Ualla che scopriamo all’inizio di questo ultimo, felice romanzo di Carlo Lucarelli, che torna all’Africa Orientale Italiana cui ci aveva introdotti con il grande affresco de ‘L’ottava vibrazione’ sull’improvvisazione italiana e la disfatta di Adua. Da quel romanzo riappare il maresciallo Colaprico dei regi carabinieri di Asmara, dove è appena arrivato, dopo un odiato trasloco, da Massaua, col suo sigaro in bocca che, quando è in tensione, finisce più per masticare che fumare. Questa volta, come voler unire madrepatria e colonia, a mostrane le due facce e la capacità di essere complementari, ecco però anche ‘lo Sherlok Holmes eritreo’, il buluk-basci Ogbà, che, con il suo non prendere mai troppo sul serio gli italiani, allarga il discorso e la visuale, potremmo dire in modo più politicamente corretto. Del resto, parla bene italiano ma non ha la più pallida idea di chi fosse il detective di Conan Doyle, cui lo accosta il suo superiore che ne è un appassionato lettore. Il tutto raccontato senza aver paura di chiamare le cose col loro nome, quello locale, e a soffermarsi sulla vita quotidiana, come a voler dare, più che colore, una intima e maggiore verità a cose e persone, naturalmente. E la naturalezza è uno dei pregi della scrittura e il racconto di questo Lucarelli, fino al svelarci la figura e la natura di Margherita e del tenente Chiti, come di tanti altri personaggi di contorno, ma sempre vivificati da una semplice e efficace caratterizzazione, da pensieri e parole rivelatrici. Come ogni colonia, anche quella italiana è popolata di avventurieri, traffichini più che trafficanti, dove che sperano in un colpo di fortuna o un buon marito, militari e funzionari di stato, tra i quali sempre la mela marcia riesce a farsi notare. Non a caso il romanzo si apre con l’inaugurazione di un grande e bell’albergo nella nuova Asmara, segnata da una straordinaria grandinata e, soprattutto, dal corpo di un uomo trovato impiccato in una stanza. Prima di arrivare in città, Colaprico e Ogbà si erano già trovati alle prese anche col furto di una cassaforte militare dal misterioso contenuto. Perché a guidare ogni cosa è l’intrigo, la truffa, la corruzione, visto che i fili di tutto quanto portano alla capitale a quello scandalo della Banca Romana, nato dalla collusione tra ambienti finanziari e politici, proprio come poi si sarebbe ripetuto sempre a segnare la storia di questo paese. Fu uno scandalo disastroso e mezzo soffocato, legato alla circolazione illegale di cartamoneta e anche di biglietti falsi, alcuni dei quali, non più utilizzabili in patria, Lucarelli fa arrivare, pochi anni dopo il famoso processo, in colonia, dimostrando ancora una volta di saper costruire gialli storici con grande abilità, a farci capire che certe cose non sono mai cambiate, e si dimostra come sempre scrittore non di genere, che lavora sulla limpidezza della scrittura e spessore e senso dei personaggi, su una conoscenza e partecipazione a storia e vita degli eritrei.
Paolo Petroni
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