Luis Roldán né vivo né morto
di Manuel VázquezMontalbán
traduzione di Hado Lyria
pagine 124, euro 10, Feltrinelli
'Luis Roldán né vivo né morto'
di Manuel Vázquez Montalbán
traduzione di Hado Lyria
Feltrinelli - pagine 124, € 10
Vale sempre la pena di diffidare quando arrivano in libreria volumi postumi di autori di best seller, visto che l’operazione editoriale è spesso il pretesto per pubblicare romanzi o racconti incompleti. Non è il caso di Luis Roldán né vivo né morto di Manuel Vázquez Montalbán. Perché se è vero che il padre di Pepe Carvalho è morto prematuramente nel 2003 è altrettanto vero che questo suo romanzo è già uscito a puntate nel ’94 su «El País» e a questo deve il suo ritmo un po’ sincopato, con un colpo di scena alla fine di ogni capitolo figlio della migliore tradizione dei feuilleton. Non è un capolavoro, ma è pur sempre opera di uno scrittore che alla sua morte ha lasciato ‘orfani’ i lettori di mezzo mondo. Tutto ha inizio quando tre curiosi personaggi assoldano Pepe Carvalho per ritrovare Luis Roldán, esponente di spicco del Psoe nonché ex capo della Guardia Civil, coinvolto in una storiaccia di fondi neri e tangenti con prevedibile contorno di criminale intreccio tra malaffare e politica. E qui si entra nel surreale, perché Roldán è una figura reale, che all’epoca in cui fu scritto il romanzo fuggì dalla Spagna. Ha successivamente scontato quindici dei trentun anni di carcere cui fu condannato e oggi vive in libertà. Carvalho e il fedele Biscuter cercheranno il fuggiasco in tutta la Spagna, in Siria e a Gerusalemme, trovando via via uno, nessuno, centomila Roldán nel corso di un duplice viaggio che si svolge soprattutto nelle fogne perché «il mondo è un sotterraneo continuo ed è lì che si evince quale sia la verità di quanto succede sulla superficie esaminata dai più precisi periscopi (...) Quel che è possibile e quel che non lo è viene dettato da uffici sommersi, sinistri, dove lavorano migliaia di profeti dell’oblio, ciechi». Lo stesso Roldán è allo stesso tempo deus ex machina e pedina, complice e vittima di un sistema perverso. Sono solo i bassifondi ad alimentare finanza, economia e politica sembra dire un Pepe Carvalho più disincantato che mai, cinico quel tanto che gli consente di bruciare i libri (come è sua abitudine) e insieme di citare Borges e García Lorca. E anche in questo caso il detective non rinuncia al cibo — mai come in questo romanzo sanguigno, quasi primordiale— pur se ogni giorno gli tocca prendere «le pastiglie per l’acido urico, la pressione, la depressione, l’euforia, la stitichezza».
Barbara Caffi
©RIPRODUZIONE RISERVATA