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Nagasaki, il ‘nemico interno’ che non muore mai

Sopravvivo perché il mondo ricordi

Gigi Romani

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lromani@laprovinciadicremona.it

21 Agosto 2015 - 16:08

Sopravvivo perché il mondo ricordi

Kyoko Hayashi
‘Nagasaki’
Gallucci
229 pagine, € 18

Kyoko Hayashi è nata a Nagasaki nel 1930. Era una studentessa che, come i suoi compagni, prestava servizio nell’industria di armi in quell’ultima parte del 1945, quando il 9 agosto gli americani sganciarono Fat Man, la seconda bomba atomica dopo Hiroshima, e distrussero la sua città. Dal debutto negli anni ’70 come scrittrice tutta la sua opera ruota fatalmente intorno a quella data e alla propria esperienza di superstite. Gallucci, con la cura e la traduzione di Manuela Suriano, pubblica per la prima volta in Italia i suoi 4 racconti richiusi in Nagasaki: l’autrice parla della sua condizione di hibakusha, ossia di persona colpita dal bombardamento e sopravvissuta, della sua riservatezza perché questo era nel Giappone del dopoguerra un tabù. Chiama ‘nemico interno’ l’effetto psicologico e fisico delle radiazioni nucleari, qualcosa con cui puoi solo convivere ma mai superare. Per anni Hayashi è stata silenziosa, affidando alle scrittura la sua voce, ma quando nel 2011 ci fu l’incidente nucleare a Fukushima, decise di intervenire portando la sua testimonianza. Le vittime della bomba atomica, prima ancora di essere vittima di guerra, sono vittime del genere umano. Tra le cose che scrive nel libro è impressionante quello che Hayashi racconta di un suo viaggio fondamentale, quello del primo esperimento nucleare, a Los Alamos, nel Ground Zero dove fu usata una bomba al plutonio, come quella che sarebbe stata usata a Nagasaki. «Dal 9 agosto 1945 ho vissuto da superstite della bomba atomica: ho vissuto nel dolore fisico e spirituale generato da quel momento, nell’angoscia di vedere morire mio figlio. Tuttavia, davanti alla terra di Trinity, ho percepito la realtà del danno seminato alla radice della mia vita il 9 agosto, ed è allora che sono diventata una vittima a tutti gli effetti». Arrivata lì ha sentito il suo corpo fremere, nessun rumore intorno, un mondo senza suono. «Sono stata invasa da una sensazione difficile da definire. Ferma nel luogo dell’esplosione del 16 luglio 1945 ho immaginato il bagliore che bruciò la pianura e la montagna per poi dissolversi sotto la pioggia insolitamente intensa che cadde quel giorno. Ho percepito il calore, ho cominciato a remare e in mezzo a quel silenzio ho sentito una grande voglia di urlare, di correre. Lì ho sentito con anima e corpo che la prima vittima era stata la terra. Mi è venuto da piangere».

Alessandra Magliaro

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