L'ANALISI
08 Luglio 2015 - 14:09
Stefano Bartezzaghi
‘M-Metronovela’
Einaudi
276 pagine, € 20
Non è meno sperimentale e non è meno pieno di fantasia e scoperte la metronovela ‘M’ di Stefano Bartezzaghi della ‘Zazie nel metrò’ di Queneau. Certo Bartezzaghi ha un’altra età rispetto a Zazie e quindi è più incline a riflessioni malinconiche e soprattutto a uno sguardo sentimentale e con la sua lingua personalissima guarda il quotidiano che si ripete, la normalità mediocre, il comune servirsi di un mezzo pubblico, per scoprirvi sfaccettature e riverberi di qualcosa invece di insolito, soprattutto di personale, magari, per un attimo, di assoluto. Ecco così la mendicante del ponte di ferro di Porta Genova che «tiene in ordine il luogo in cui lavora» pulendolo ogni giorno da cartacce, mozziconi, bottiglie, ma in questa sua ordinata normalità nasconde un dramma, un dolore profondo che un giorno gli si rivela all’improvviso. Il viaggio di Bartezzaghi usa toponimi precisi, nomi veri di fermate strade e piazze di Milano, ma andando a fondo, in questa sua discesa nel sottosuolo, oltre la superficie delle cose, ecco che quel che scopre e ci rivela, con un racconto piano e ricco, diventa esemplare, va ben oltre i limiti geografici che gli ha dato e si interessa con ricordi e momenti della propria esistenza. La metropolitana e il suo mondo sono un pretesto per rincorrere il proprio mondo, le proprie ossessioni e passioni, il proprio fantasticare, come quando ha davanti a se seduto un composto signore che viaggia tenendo sulle ginocchia un curioso vaso «che potrebbe essere un’urna cineraria», il che crea suggestioni particolari, ma forse tutto nasce da una propria suggestione, avendo l’autore saputo proprio quel giorno della morte di una persona molto cara. Insomma il gioco di rimandi è continuo e la città e il mondo si riverberano nel narratore, che a sua volta lo illumina coi propri sentimenti, sensazioni, libere associazioni, ricordi, gioie e dolori. Un racconto continuo, per certi versi, pur con tutte le sue variazioni, sempre eguale, eppure ogni volta con poco si rivela diverso, come quelle parole che in alcuni giochi, anagrammi o solo il cambio di una lettera, diventano tutt’altra cosa e senso. Ma al centro di queste variazioni, di quello che potrebbe sembrare una sorta di labirinto reale e esistenziale a far ritrovare la strada, indicare l’uscita, c’è l’io, l’autobiografia. Sotto ci si ritrova: «Per perdersi davvero basta salire le rampe e tornare al livello del suolo, sulla terra e non più nella terra».
Paolo Petroni
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