L'ANALISI
Una pagina di storia cremonese
19 Agosto 2014 - 13:43
Il teatro nelle sue forme più disparate, con particolare attenzione al teatro musicale per quanto riguarda la realtà di Cremona, rappresentò non solo un mezzo di propaganda ma, legato alle glorie della cultura aulica cremonese, costituì una vetrina per il prestigio della città, retta da Roberto Farinacci, gran promotore degli eventi musicali e artistici che segnarono gli anni Trenta e i primi anni Quaranta. Pur ricavandosi una propria ‘autonomia’ culturale tutta ripiegata sulla costruzione del mito di Cremona città della musica e dell’arte, la signoria farinacciana non ignorò tuttavia le direttive di politica culturale provenienti dal duce e dal partito fascista, quando non se ne fece autentica promotrice, come accadde per il Premio Cremona, in primis, ma anche con l’attività teatrale: Cremona fu sede del quinto Concorso Filodrammatico Nazionale, grazie alla solerte attività della compagnia Gustavo Modena della Società Filodrammatica Cremonese, presieduta da Stefano Foletti.
Non si può non leggere che in questo contesto la curiosa e poco nota produzione teatrale di Roberto Farinacci autore nel 1927 di Redenzione. Episodio cremonese della rivoluzione fascista, dramma in tre atti e nel 1937 autore del dramma in tre atti: La beffa del destino. Entrambe le pièce vengono pubblicate dalla Società editoriale Cremona nuova. Si tratta di due lavori differenti per scrittura e argomento, testi piuttosto brutti, ma che in controluce raccontano non solo dell’utilizzo del teatro come mezzo di propaganda, ma anche dell’impegno di Roberto Farinacci nel occupare tutti gli aspetti e gli spazi della vita culturale cittadina, calandosi anche nel ruolo di autore teatrale.
«Redenzione era il titolo di uno dei primi, brutti esempi, di ‘teatro fascista’, un dramma scritto da Roberto Farinacci e portato sulle scene nel 1927. Vi era narrata la vicenda di un socialista che, dopo essersi reso conto del materialismo, della mancanza di fede religiosa e della viltà dei suoi compagni, si pente e si converte al fascismo; ma solo quando viene ferito mortalmente durante la mobilitazione per la ‘marcia su Roma’, versando il suo sangue per la rivoluzione fascista, riceve dal capo degli squadristi la tessera del partito, accolto come un eroe e martire nella comunione squadrista», scrive Emilio Gentile ne Il culto del littorio. In un contesto di lotta politica fra socialisti, lega dei Migliolini e fascisti si racconta la ‘redenzione’ di Madidini, disertore di guerra, che viene folgorato dagli ideali fascisti e a questi si immola con una scena finale in cui l’ex disertore spira mentre il capo dei fascisti gli dona la sua tessera del partito. Il testo procede per grossolane caratterizzazioni con una retorica tutta protesa ad esaltare la forza salvifica del fascismo, sulla scia della volontà di ridare onore e prestigio all’Italia, presentando gli oppositori come goffi e accecati dall’ideologia e da un disamore per la Patrie. Il tarlo della coscienza di Madidini è quello di aver disertato la Prima Guerra Mondiale. La prima rappresentazione di Redenzione si tenne al Manzoni di Milano a metà dicembre del 1927. «Lo spettacolo filò liscio per i primi due atti, al termine dei quali venne accolto da vivi applausi e da grida ‘Viva il Duce’. All’inizio del terzo avendo una spettatrice aggiunto alle grida Viva il Duce e Farinacci, molti urlarono e fischiarono — scrive Romano Canosa nella sua biografia di Roberto Farinacci —. Il giorno dopo un alto dignitario fascista, Carlo Carini, scrisse a Turati che gli aveva chiesto le sue impressioni sul dramma farinacciano, una lettera nella quale si consigliava di proibirlo. A suo avviso il lavoro letterario valeva pochino. Si trattava infatti di alcune concioni (la predica del fascista ai socialisti, lo sfogo di Madidini ai parenti, le parole di quest’ultimo sul letto di morte) ‘legate da dialoghi disadorni’ Tre ‘atti gettati giù con poca perizia dall’autore». L’effetto fu che lo spettacolo ebbe un’unica rappresentazione. Per ritrovare in scena Redenzione bisogna aspettare qualche anno, ad opera dei filodrammatici di Stefano Foletti. I dilettanti cremonesi il 10 aprile 1934, misero in scena Redenzione, gli incassi della serata vennero devoluti per la costruzione del Sacrario dei Caduti Fascisti. Come dire la retorica del regime trovava un suo coronamento nel ricordare i caduti della rivoluzione in camicia nera.
Del tutto differente è La beffa del destino, dramma in tre atti del 1937. In merito non si hanno notizie di una eventuale messa in scena. La Beffa del destino è un testo che oscilla fra commedia e dramma larmoyante. La vicenda è ambientata in una località montana con una società di altoborghese. Tutto fa presupporre una sorta di commedia di bisticci amorosi con uomini in cerca di conquiste e signorine che ambiscono a trovar marito. Il tono è quello della commedia, un affresco stereotipato di una società elegante, da ‘telefoni bianchi’.
In questo contesto si pone la storia dell’amore infelice di Paola, signorina che non si concede alle gioie mondane della villeggiatura, e Giorgio, buon partito, corteggiato da tutte, ma che si innamora proprio di colei che non lo aveva notato. Peccato che questo amore non si possa concludere con le nozze come i due si auspicano, perché si viene a scoprire che Paola figlia di NN è in realtà sorella di Giorgio, nata da una relazione extraconiugale del padre.
In tutto ciò si inserisce una costante e ripetuta attenzione alla nostalgia per l’Italia, Giorgio vive a Berna, ma anche la volontà dei due di far nascere i loro figli sul suolo patrio, nella consapevolezza che l’Italia sia un paese orgoglioso e di nuovo al centro della grande Storia grazie al fascismo, ovviamente.
Redenzione e La beffa del destino sono testi che raccontano di un uso e di una maniera del teatro che l’onnivoro Roberto Farinacci tentò goffamente di fare propria, in nome di una fasci statizzazione della società e della cultura, di cui lo stesso ras voleva in primis fornire l’esempio, malgrado la mancanza di talento e ispirazione.
Nicola Arrigoni
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