di Paolo Petroni Maxwell Evarts Perkins «era sconosciuto al grande pubblico, ma chi apparteneva all'ambiente dei libri lo considerava una figura gigantesca, una specie di eroe. Perchè lui era l'editor per eccellenza. Da giovane aveva scoperto grandi nuovi talenti come Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, Thomas Wolfe, e aveva puntato la sua carriera su di loro, sfidando i gusti correnti e rivoluzionando la letteratura americana». Così Scott Berg, autore di fortunate biografie (da Lindberg alla Hepburn) presenta il suo protagonista sin dalla prima pagina, riportando le sue affermazioni a un gruppo di giovani studenti in editoria della New York University, che sottolineavano come un editor non aggiungesse mai nulla a un autore di cui è l'ancella: «un editor non crea niente. Il lavoro migliore di uno scrittore viene totalmente da se stesso». «La storia della letteratura non è mai stata così appassionante» hanno scritto sul 'New York Times Book Review', perchè questa è una biografia di grande interesse e vivacità per tutto ciò che ci racconta, e per come ce lo racconta (tanto che se ne annuncia un film), principalmente su molti grandi personaggi della letteratura americana, sul loro modo di essere, sui loro procedimenti nel lavoro, sulla loro creatività e sulle loro debolezze e grandezze umane. Perkins poi passava per un personaggio un poco eccentrico, che faceva errori di spelling e non sapeva bene come usare le virgole e i punti, ma considerava la letteratura «una questione di vita o di morte». Per questo, per fare un esempio, si racconta che avesse fatto un contratto a Hemingway alla cieca per quello che sarebbe divenuto 'E il sole sorge ancorà, che quando arrivò il manoscritto in casa editrice, Scribner's Sons, dovette lottare per farlo uscire, perchè pareva scritto in un linguaggio troppo libero, troppo colorito. Berg, che andò all'Università a Princeton per essere nella stessa università del suo idolo, Fitzgerlad, quando cominciò a muoversi tra le carte dell'archivio dello scrittore si imbatte subito in Perkins e lì sono le radici di questa sua odierna biografia, che è un affresco dell'editoria, la letteratura e la cultura americana degli anni Venti, Trenta e Quaranta del Novecento. Era il 1919 quando gli arrivò tra le mani «The romantic Egotist», che vari lettori e editori si passavano l'un l'atro finendo sempre per respingerlo, mentre lui, a forza di consigli, di spingere l'autore a riscrivere e ristrutturare arrivò a stamparlo col titolo «Di qua dal paradiso» l'anno dopo, dando inizio alla fortuna di Fitzgerald, cui aveva cambiato la vita come, da allora, cambiò la sua. Davanti a queste 500 pagine si potrebbe poi andare vanti citando aneddoti, incontri, battute, storie di libri, ma sarebbe troppo facile (a parte la difficoltà di scegliere cosa citare tra tutto e tanto) e toglierebbe piacere all'eventuale lettore nello scoprire come Perkins aiutasse Fitzgerald non solo sul piano della scrittura, come ascoltasse Wolfe che non gli parlava solo di letteratura, come e perchè dovesse tenere a bada l'arroganza machista di Hemingway.