L'ANALISI
12 Agosto 2015 - 11:54
A Cremona arrivano i Lanzichenecchi. Dovrebbero essere ‘amici’, sono truppe del cattolicissimo imperatore Carlo V, ma sono anche luterani, e soprattutto sono assetati di bottino, sanno bene delle ricchezze dell’opulenta Italia. Non si fanno scrupolo di fronte a nulla, chiese, monasteri, case per loro sono solo prede. Non si fermano di fronte a niente: donne, vecchi e bambini non sono nulla.
Sono ‘amici’ e alleati, occorre dunque ospitarli e nel miglior modo possibile. Antonio Campi racconta che furono riempiti di soldati perfino i monasteri. In giugno arriva un’altra compagnia di soldati di ventura, sono imperiali, ancora Lanzichenecchi, ‘i servitori della terra’, anche loro amici. Occupano tutto, dai bei palazzi dei nobili a ridosso delle mura, alle casupole di pescatori e barcaioli. Sporchi, nelle loro divise sgargianti e cappelli piumati, con bandoliere cariche di polvere da sparo e spadoni lucidi scemano in contrada del Prato, nel Borgo del Po in via del Sale rubano il pesce salato, le poche suppellettili, le riserve di farina accumulate con grande sacrificio, ma soprattutto vogliono carne, macellano tutto: bovini, maiali e galline. Ovunque ci sono bivacchi, il fuoco nella notte è un monito per i cremonesi. Si vedono con i loro pennacchi multicolori in piazza Grande, arrivano in contrada delle Macellerie, depredano le botteghe, via del Mercatello è deserta, i mercanti non sono venuti in città, se ne stanno lontano; a rischio non è solo la merce, ma la loro stessa vita.
I soldati oltraggiano le donne, insultano gli uomini, entrano nelle botteghe, rubano la merce, bevono e mangiano smodatamente. E chi non li accontenta rischia. Una boccale di vino costa la vita al nobile Giovanbattista Ala: un soldato gli chiede di procurargliene uno, il cremonese non riesce a trovarlo e il soldato lo uccide. Il vino è diventato merce preziosa, una misura di vino inacidito costa otto lire, una di scarsa qualità venticinque. Ma non si accontentano, sanno che le chiese sono ricche e i soldati tedeschi non hanno nessun rispetto per il sacro. Nell’agosto del 1526 inizia il saccheggio: i soldati entrano nei monasteri di San Cataldo e san Zenone, poi scemano per la strada Magistra, arrivano al monastero di Sant’Angelo rubano tutto ciò che c’è da rubare. Mettono nelle bisacce unte calici, vasi sacri, paramenti e con ‘horrore’ Antonio racconta che con l’olio sacro si lucidano gli stivali.
Tutto ciò dentro le mura, fuori rombano i tamburi di guerra, squillano le trombe e si fanno sentire i cannoni. L’esercito della Lega è sotto la città, piazza i cannoni dalle parti di porta Mosa, inizia il bombardamento. A rinforzare le difese c’è tutta la città: nobili, poveri, donne, uomini, bambini. I sacerdoti vengono minacciati di morte attraverso impiccagione se non danno anche loro una mano. Dopo mesi di assedio finalmente si raggiunge l’accordo: in città entrano gli eserciti di Venezia ed escono gli imperiali. L’11 novembre una lunga colonna di soldati si avvia per le strade di Cremona, dovranno uscire da porta San Michele, riaperta per l’occasione. Sono i Lanzichenecchi, finalmente se vanno, sono 1400, e con loro, al seguito lasciano la città anche cinquecento tra donne e bambini, sono le ‘loro donne’, alcune se le erano portate dietro da precedenti razzie, altre, si presume, sono cremonesi che ormai sono legate al destino di questi feroci soldati. Le orde si accampano a Fiorenzuola e raccolgono il peggio: briganti, sbandati, partigiani della famiglia Colonna che voleva spodestare papa Clemente VII. Nel febbraio i Lanzi muovono le tende verso Roma. La Città Eterna è presa e saccheggiata, soldati tedeschi, italiani, svizzeri, spagnoli non risparmiano niente e nessuno, vengono scoperchiate perfino le tombe perché pensano che i tesori dei romani siano nascosi tra i morti, alla spasmodica ricerca di oro frantumano le fogne e le cloache: i cadaveri insepolti e i liquami all’aperto provocano una pestilenza che uccide romani e lanzichinecchi.
La cristianità rimane sotto choc per anni. La responsabilità di Carlo V furono enormi.
Nel 1557 le armate francesi minacciarono la stessa Cremona e nonostante truppe e capitani locali fossero a combattere su altri fronti i cittadini si prepararono a combattere fino alla fine. Tanto che Filippo II mandò un messaggio di encomio alla città. Un disastro per tutto il territorio, 50 anni di paura: «Per Cremona posta all’incrocio di tutti i confini, quelli delle guerre in Italia furono tempi di soldatesche in continuo movimento quindi, di assedi, di tasse e, inevitabilmente di peste».
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