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L'INTERVISTA

Il libro: il Medioevo, epoca di piena luce

Oggi Beatrice Del Bo presenta ‘L’età del lume’ al Museo Archeologico

Nicola Arrigoni

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narrigoni@laprovinciacr.it

23 Marzo 2023 - 05:05

Il libro: il Medioevo, epoca di piena luce

Beatrice Del Bo

CREMONA - Scordatevi i secoli bui del Medioevo, la luce e l’illuminazione artificiale con candele e lampade a olio caratterizzavano la vita quotidiana e festiva dell’Età di Mezzo che era tutt’altro che oscura. Ad esserne convinta è Beatrice Del Bo, autrice del saggio L’età del lume. Una storia della luce nel Medioevo (il Mulino). Il libro sarà presentato oggi alle 17,30 al Museo Archeologico (via San Lorenzo). L’incontro è organizzato dalla Società Storica Cremonese in collaborazione con Cremona Musei. Il volume è un saggio di gradevolissima lettura che racconta di come la società medioevale non fosse così triste, buia come certa storiografia vorrebbe.

Dopo il suo libro, il Medioevo sarà l’età della luce? Dimentichiamoci dei secoli bui?
«L’età del lume nasce dall’esigenza di superare con un’etichetta nuova e verosimile una definizione invece antica e sbagliata, che ancora oggi è fissa nell’immaginario collettivo».

Come è nata l’idea di questa ricerca?
«L’idea nasce dal voler provare a decostruire secoli di pregiudizio in modo diverso rispetto a come si è tentato di fare sinora. In secondo luogo dall’avere letto in più sedi, a proposito della quotidianità medievale, che al calar del sole, dopo il coprifuoco, le attività cessavano e le persone, dopo aver consumato un pasto frugale illuminate dal focolare, si mettevano a dormire. Se così fosse stato, le candele non sarebbero esistite, ma soprattutto nessuna autorità si sarebbe preoccupata di carestie di candele come invece avveniva, per esempio, a Milano alla fine del Trecento. Mi sono infatti imbattuta in una serie di interventi del Comune di Milano volti a garantire la reperibilità di questi manufatti».

Questi aspetti a che conclusioni l’hanno portata?
«In un mondo che per la maggior parte di notte dormiva, non ci sarebbe di certo stato bisogno di garantire la disponibilità di candele. E allora ho cominciato a cercarle ovunque. Una vera ossessione! Nei documenti pubblici e privati, nelle scritture e nei dipinti, negli affreschi, nelle novelle e nei musei, scoprendo che il Medioevo era un mondo molto più luminoso di quel che si è scritto sin qui».

C’è un aspetto molto materiale nella sua ricerca: l’importanza che le candele assumevano nell’economia del tempo. Le candele erano un bene di lusso?
«Le candele erano un bene costoso, se di cera. Se di grasso animale invece erano più accessibili, poiché costavano un terzo rispetto alle altre. A Milano alla fine del Trecento per meno di mezzo chilo di candele un salariato avrebbe dovuto lavorare almeno un giorno intero per comprarle. Le possiamo considerare un bene di lusso quando le quantità sono elevate, di cera o di candele, cioè quando vengono impiegate nei banchetti oppure durante i funerali o come omaggi a potenti in visita. Insomma una candela si poteva comprare ma decine di ceri o di torce potevano permettersele soltanto i ricchi».

A Cremona per Sant’Omobono le autorità civili donano al capitolo della cattedrale dei ceri … Così accadeva nelle grandi feste religiose. Come si spiegano questi doni?
«Nel caso specifico hanno un duplice significato cioè uno concreto, poiché servivano per illuminare gli spazi religiosi, e uno simbolico, poiché rappresentavano in Terra la Luce divina e segnalavano al/alla fedele la strada verso la salvezza, ma anche il percorso in chiesa fra i diversi altari nelle varie cappelle, più o meno importanti a seconda del culto, del santo a cui era intitolato l’altare. Il dono dei ceri è simbolo di omaggio nei confronti di un’istituzione o/e del suo santo, nel caso specifico l’omaggio del Comune nel senso pieno e medievale del termine al suo patrono. Il suggello dell’unione tra le due principali istituzioni di governo cittadine, l’una che si riconosceva nell’altra e che insieme formavano l’identità municipale».


Da dove nasce l’adagio : il gioco non vale la candela?
«Nasce proprio dal costo della cera, cioè dalla necessità di calcolare anche quanto si sarebbe dovuto spendere per l’illuminazione per giocare d’azzardo: sarà necessario vincere più di quanto si spenda per illuminare il tavolo da gioco, poiché di solito le attività ludiche d’azzardo, cioè con puntate in denaro, si svolgevano di sera o di notte, frequentemente in taverna, ed era necessario illuminare il luogo dove si svolgevano. Per ritenere di aver guadagnato era necessario aver intascato più del costo dell’illuminazione…, altrimenti il gioco non sarebbe valso la candela».

Le grandi feste venivano sottolineate dall’illuminazione di torri, palazzi. Sconfiggere le tenebre era un segno di festa? Ma anche di potere?
«Esattamente. Il fuoco costituiva un effetto speciale, anzi, l’effetto speciale per antonomasia in età medievale, e non soltanto, basti pensare agli spettacoli ‘son et lumière’, tipici dell’area francese, e ai fuochi d’artificio che tutte e tutti noi ammiriamo ancora oggi a chiusura, solitamente, di eventi e celebrazioni pubbliche ma, in qualche caso, anche private. Avere la possibilità di assoldare dei ‘maestri di fuochi lavorati’, così si chiamavano gli artisti capaci di dominare il fuoco, significava avere la disponibilità finanziaria per farlo ma anche avere narrare al popolo la propria capacità di dominare gli eventi naturali e quindi indirettamente di governare al meglio lo Stato».

Nel suo saggio mette in evidenza che c’è anche una differenza di genere nell’approccio alla luce. In che senso e con che modalità ciò avviene?
«Si riconosce la cifra di genere in molte fonti analizzate: nelle novelle le donne di solito maneggiano lumi o candele in ambienti domestici e privati, tra camere da letto e cucine; gli uomini li maneggiano sì in ambienti privati, magari mentre sgattaiolano da una stanza a un’altra per raggiungere l’amante, ma anche nei luoghi di lavoro, nei palazzi del potere, o nei luoghi del piacere, come le taverne. Nella rappresentazione iconografica, poi, esiste una netta discriminazione, almeno per le fonti che ho potuto analizzare, nella rappresentazione, specie in Italia, delle donne che leggono. Quando troviamo Madonne o Sante in lettura esse raramente sono rappresentate con un lume, tanto meno con un lume acceso. Se, talvolta, questo fenomeno può essere ricondotto alla presenza dell’Arcangelo Gabriele che porta la Luce dell’Annunciazione, più spesso esso è riconducile al fatto che le donne non possono essere luminari, come invece lo sono gli uomini, i tanti santi Gerolamo e Agostino, rappresentati con accanto lumi. Nel Medioevo, e non soltanto, si ritiene infatti che il lume della ragione appartenga esclusivamente agli uomini».

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