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«Tornare dal bosco», rinascita nella selva oscura

Una maestra che non regge il suicidio di una scolara e fugge nel bosco. Il patto con un bambino potrà salvarla. Romanzo lirico di Maddalena Vaglio Tanet

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

22 Marzo 2023 - 05:30

CREMONA - «L’elemento che per me è risultato vincente è stata la doppia sfaccettatura dello stile letterario con cui la Vaglio si rivela. Da un lato un linguaggio sfumato con punte di liricità, da poetessa che è, quando ci descrive una fuga nella magia e nel messaggio segreto del bosco, e dall’altro il piglio crudo e quasi crudele nel momento in cui ci presenta fatti e personaggi del cupo paese fra le montagne. Un mix davvero interessante». Con queste parole la scrittrice Lia Levi ha candidato al  Premio Strega 2023 il romanzo ‘Tornare dal bosco’ di Maddalena Vaglio Tanet, talent scout letteraria che dai libri per bambini (‘Il Cavolo di Troia e altri miti sbagliati’ è stato il suo primo libro) passa ora alla letteratura per adulti. Vaglio Tanet ne parla con Paolo Gualandris nella videointervista per la rubrica ‘Tre minuti un libro’ online da oggi sul sito www.laprovincia.it.

Effettivamente, di questo romanzo, oltre naturalmente alla storia, colpiscono la scrittura, la scelta dei particolari, la descrizione delle singole situazioni emotive scatenate dalla natura, dal bosco, che l’autrice descrive magistralmente in tutti i suoi dettagli, nel quale il lettore entra quasi fisicamente e addirittura sembra sentirne i profumi. È l’autunno del 1970 e tutto inizia con una maestra elementare di un paesino piemontese che esce di casa per andare a scuola, ma non ci arriverà perché ha letto qualcosa sul giornale che l’ha sconvolta. Cambia direzione, entra nel bosco, tutti la cercano. Ma a trovarla sarà qualcuno di inaspettato: un bambino.

Una storia che prende spunto da vicende realmente accadute: «È un romanzo a tutti gli effetti, perché ho cambiato molti particolari e inventato personaggi, però il nucleo della storia è vero, si tratta di fatti accaduti, per di più a persone che mi erano e mi sono molto care. Davvero a fine anni Sessanta una maestra, che poi era la cugina di mio nonno a cui ero legatissima, sparì. Io naturalmente a quel tempo non c’ero ancora, però sapevo che era scomparsa per alcuni giorni, ma non mi volevano spiegare il perché il movente era tragico e coinvolgeva una bambina della mia età».

Il motivo  è la morte di una sua alunna. Non la morte: il suicidio. La comunità la cerca, ma teme che sia troppo tardi, per trovarla o per salvarla, e teme che queste due morti siano una maledizione. La maestra non si trova e il paese, per continuare a vivere e convivere con il lutto e l’incertezza, si distoglie. In questa distrazione, Martino, il bambino che non è nato nel paese e nemmeno è stato accolto, tagliando per il bosco incrocia un capanno abbandonato, e nel capanno, color della muffa e dorata come il cappello di un fungo, sta la maestra. Il bambino non dice di averla trovata, e la maestra non parla. Ma lui torna e lei, in fondo, lo aspetta.

Vaglio Tanet racconta una storia di possibilità e di fantasmi, di esseri viventi che inciampano in vicende più grandi di loro e di bambini dei quali – come scriveva Simona Vinci, al suo esordio – non si sa niente, se non che sono gli unici a conoscere quanta realtà ci sia nelle fiabe, quanto amore stia nella paura, e quante sorprese restino acquattate nel bosco. A questo punto la domanda è: il bosco è buono o cattivo? «È ambivalente, nel senso che da un lato per la maestra, e anche per me, si tratta di una ambiente famigliare, ci è sempre andata, d’altro canto ti offre l’occasione di nasconderti. Lei vi entra soverchiata dal senso di colpa anche se non ha fatto nulla di sbagliato davvero, però si sente responsabile per la ragazzina che non è stata in grado di vivere in mezzo alle altre persone. Entra  senza sapere bene quello che fa, ce la portano le gambe. Lei vorrebbe liberarsi della sua coscienza, vorrebbe diventare bosco, tornare all’indifferenziato, lasciarsi andare. Poi resta sola con se stessa e quindi viene invasa e abitata da fantasmi, allucinazioni, ricordi finché qualcuno la riacciuffa per i capelli e la riporta alla vita. E in effetti questa pausa che si prende nel bosco all’inizio ha un innesco drammatico. Però poi è come se si prendesse il tempo per dare il suo assenso alla vita, riscopre che cosa sono l’affetto, la curiosità reciproca e il proprio ruolo, perché per lei essere maestra è tutto. Ed è grazie a un ragazzino che torna alla vita».

È l’età dell’innocenza che la mette di fronte alle proprie responsabilità e alle proprie riflessioni ma le offre anche una vita d’uscita, cioè torniamo bambini poter poter riscoprire nei stessi. «C’è un rovesciamento perché è un ragazzino a occuparsi di un’adulta, non di una qualsiasi, ma di una una maestra. Diciamo che il rapporto con il selvatico, con il non umano, cioè il bosco ha sia per il lettore che per la maestra una grande capacità di straniamento e anche di rinnovamento. E lei si vede con uno sguardo diverso attraverso questo rapporto con il ragazzino e con il selvatico».   

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