L'ANALISI
15 Marzo 2023 - 05:25
CREMA - «Vi mostro il lato oscuro del Paradiso». È questa la missione autoassegnatasi da Ronni Parmigiani, docente cremasco di filosofia e autore de ‘Il riflesso del lago’, secondo romanzo della trilogia sulle indagini dell’ispettore Piscopo. Dove per Paradiso si intende quell’angolo di lago di Garda che insiste su Sirmione e il lato oscuro sono le organizzazioni malavitose che governano il mercato della droga e della prostituzione a disposizione della, spesso ricca, movida che ne affolla i molti locali. Ne parla con Paolo Gualandris nella videointervista per la rubrica ‘Tre minuti un libro’ online da oggi sul sito www.laprovinciacr.it.
Considerata la ‘missione’, il linguaggio non poteva che essere crudo. «Perché è la vita quotidiana che vado raccontando - spiega -. L’intenzione era di individuare un luogo che potesse assomigliare a un Paradiso, che ho trovato nella zona di Sirmione e del lago di Garda, luoghi di grande storia e cultura ma anche sede di discoteche e divertimento e, di conseguenza, di interessi malavitosi. Quindi il linguaggio scelto è molto essenziale e crudo, anche un po’ volgare devo confessare».
Chiunque di noi abbia frequentato quelle parti sa che c’è una vita notturna molto intensa dietro la quale c’è un movimento criminale altrettanto intenso, tra spaccio di droga e prostituzione ed è lì che la storia è ambientata. Il superboss Amato è morto e lascia un vuoto di potere nel traffico di stupefacenti al Garda. Il nipote Mino, pieno di rabbia e risentimento, con l’aiuto di Pietro Garau, ex collaboratore dello zio, cercherà di farsi strada nella malavita alterando in modo grave gli equilibri esistenti. Entrerà in collisione con le forze dell’ordine che, guidate dal giovane vice ispettore Piscopo, assolderanno dei cani sciolti per levare di mezzo Mino.
Quello che tutti non comprendono, però, è che sono gli ignari protagonisti di un sadico gioco manovrato da dietro le quinte da un ex politico. «Il romanzo - ammette lo scrittore - non ha alcuna pretesa di essere una denuncia sociale ma vuole essere solo un’opera di intrattenimento. Ho negli occhi questa immagine: gente che esce dal lavoro, prende i mezzi pubblici e per rilassarsi si legge un bel libro. La lettura deve essere anche un momento di evasione, di divertimento».
Piscopo è uno sbirro un po’ particolare, nel senso che è convinto che il bene alla fine debba trionfare, ma se ciò non succede, diciamo che gli dà un aiutino, nel senso che si rivolge a chi proprio tanto angelico non è. «Come tutta la trilogia prevede, il confine tra il bene e il male deve essere molto sfumato e i personaggi si muovono su questa linea non ben definita, non è chiaro chi sia in realtà il criminale e chi l’onesto».
Insomma, accade come in molte cose della vita, dove spesso non c’è il dualismo tra buoni e i cattivi, ma si deve distinguere in cattivi e... più cattivi. Quale è l’ispirazione per questa storia? «Sono riscontrabili alcune citazioni di cronaca locale, che è stata fonte inesauribile di ispirazione. Poi i fatti sono romanzati, come è ovvio che sia, dentro un contenitore che potremmo definire tarantiniano, un genere pulp». Il lato migliore del libro è che non gira intorno alle cose ma che le racconta anche con uno di crudezza riuscendo a tirare dentro il lettore.
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