L'ANALISI
14 Giugno 2023 - 05:20
Ma l’Italia è un paese razzista? È una domanda ricorrente soprattutto quando si parla di immigrati che si sono trasferiti in Italia per inseguire un futuro migliore, o come in molti casi, semplicemente per avere un futuro. La domanda suscita un certo scalpore da parte di alcuni cittadini italiani che spesso non capiscono la varietà di forme in cui il razzismo e l’intolleranza si manifestano nella nostra società.
Ancora più scalpore ha destato la risposta di una cittadina italiana, la campionessa di pallavolo Paola Egonu, nata in Italia da genitori di nazionalità nigeriana, che in occasione della sua partecipazione al festival di Sanremo rispose: «Si, però questo non vuol dire che tutti quanti siano razzisti […] o ignoranti, però se mi chiedete se c’è razzismo, la risposta è si. È un paese razzista che sta migliorando».
La risposta ha suscitato le ire di quella parte della popolazione che, probabilmente motivata da un profondo patriottismo, si è sentita offesa dalle parole di Paola. Al contempo, le sue parole sono state particolarmente apprezzate da tutti coloro che da anni si battono per promuovere l’inclusione di persone appartenenti ad altre etnie e più in generale a minoranze sottorappresentate nella nostra società per motivi di genere, orientamento sessuale, identità sessuale, classe economica o semplicemente per diverso contesto socio-culturale.
Viene dunque naturale chiedersi dove stia la verità. Innanzitutto, è necessario capire cosa intenda la domanda, perché il termine ‘paese’ può essere identificato in diverse accezioni, quali il territorio, l’insieme dei cittadini, la maggioranza della popolazione, il governo o altre sfaccettature, ed anche il termine razzismo deve essere correttamente definito per delineare tutte le varie forme di intolleranza verso persone provenienti da altri paesi e di altre etnie.
Non essendo particolarmente patriottico, e avendo vissuto in paesi diversi, mi risulta difficile identificarmi con un paese. Questo non significa rinnegare le proprie radici, ma semplicemente saper riflettere in maniera critica su aspetti positivi e negativi del contesto socio-culturale di una nazione. Mi risulta difficile assegnare un’etichetta, positiva o negativa, ad un paese o alla sua intera popolazione. Interpreto dunque l’espressione ‘paese razzista’ come un paese all’interno del quale gli episodi razzisti avvengono in maniera non sporadica e non vengono stigmatizzati a dovere ma anche come un paese il cui contesto sociale e legislativo non consente l’inclusione e l’integrazione di persone di altre etnie e culture.
Qualcuno potrebbe obiettare che in ogni paese si verificano episodi di razzismo; tuttavia, è evidente che ci siano paesi in cui la marginalizzazione di stranieri, immigrati, cittadini di altri paesi, e persone di altre etnie sta lasciando il posto all’integrazione, alla valorizzazione della diversità, e alla promozione dell’inclusione; mentre in Italia questo processo è ancora troppo lento, a causa dell’incapacità di molti di riconoscere i limiti del nostro contesto socio-culturale e di leggi obsolete che non tutelano le minoranze. Il primo passo è riconoscere che il razzismo è molto più complesso dell’idea che molti hanno di questo fenomeno. Se chiedessimo a cittadini qualunque di definire il razzismo, la definizione più comune sarebbe quella di un insieme di atteggiamenti e azioni basati sull’intolleranza verso le persone di colore.
Quegli atteggiamenti sono spesso al centro di fatti di cronaca, come il recente caso del medico di colore di un comune della provincia di Varese che non venne accettato dalla popolazione per il colore della pelle. Molti cittadini ricordano anche come quelle intolleranze abbiano portato in passato a fenomeni di segregazione razziale come in Sud Africa e negli Stati Uniti. Tuttavia, spesso si tende a dimenticare che non è necessario arrivare a questi fenomeni per emarginare una minoranza della popolazione e generare un clima di intolleranza. Il razzismo si manifesta sotto diverse forme quali pregiudizi e marginalizzazioni. Una comunità può dirsi inclusiva quando è in grado di creare un ambiente sicuro e accogliente per tutti i suoi membri inclusi coloro che appartengono a minoranze sottorappresentate. Spesso, invece, alcuni pregiudizi sono talmente radicati nella società da creare delle situazioni di marginalizzazione di gruppi di persone per il solo fatto di appartenere ad una ernia o una cultura diversa.
Talvolta il razzismo diventa sistemico, ovvero diventa parte integrante del sistema socio-istituzionale. Ad esempio, negli Stati Uniti, i pregiudizi sulle persone di colore hanno contribuito a creare all’interno delle forze di polizia un ambiente ostile e talvolta violento nei confronti delle persone di colore. Allo stesso modo, in Italia, la mancanza di una legge sullo Ius Soli favorisce la marginalizzazione di bambini e ragazzi italiani nati da genitori stranieri. In Italia ci sono infatti oltre 800mila bambini e ragazzi che sono nati e cresciuti in Italia, hanno studiato in Italia, e parlano italiano meglio di molti altri, ma che non sono riconosciuti come cittadini italiani perché nati da genitori stranieri.
È evidente che in Italia ci siano episodi di razzismo, come testimoniano le chiacchiere da bar, i cori da stadio della domenica, la difficile integrazione nel sistema scolastico, le discriminazioni in ambito sociale e lavorativo, gli episodi di cronaca legati ad atti e talvolta crimini d’odio, e l’ostilità di alcune forze politiche verso gli immigrati. Tutti questi episodi contribuiscono a formare un clima che ostacola l’inclusione e l’integrazione e favorisce la marginalizzazione delle minoranze. Anche se non identifichiamo il paese con tutti i suoi cittadini, non possiamo negare che in Italia ci sia ancora molto lavoro da fare in tema di prevenzione del razzismo e agevolazione dell’integrazione.
Le stesse conclusioni valgono anche per sessismo e omofobia. Identificandoci nella cosiddetta ‘cultura occidentale’, non viene naturale pensare all’Italia come ad un paese sessista, in particolare quando si confrontano i diritti delle donne nel nostro paese con altri in cui la libertà della donna è molto limitata. In effetti, la tutela dei diritti delle donne in Italia ha fatto grandi passi in avanti negli ultimi decenni. Tuttavia, esistono ancora problematiche importanti quali la parità dei salari, le opportunità di carriera, e la rappresentanza a livello dirigenziale e istituzionale. Pertanto, senza etichettare l’Italia come un paese sessista, è comunque necessario riconoscere che in determinati ambienti, quali ad esempio l’ambito lavorativo, la parità dei diritti non è ancora di fatto stata raggiunta a causa di pregiudizi e marginalizzazioni nei confronti delle donne.
In maniera analoga, il percorso per il riconoscimento dei diritti delle persone LGBTQ+ in Italia è ancora lungo. L’Unione Europea ha evidenziato come tali diritti in Italia siamo meno tutelati rispetto ad altri paesi, in particolare a cause di carenze ed ostacoli legislativi in merito a matrimoni egualitari e adozioni, malgrado l’opinione pubblica sui diritti LGBTQ+ stia diventando più liberale ed inclusiva. Ma quindi l’Italia è razzista, sessista e omofoba? Certamente non tutti i cittadini lo sono, ma è importante ammettere che in Italia ci siano problemi di razzismo, sessismo, e omofobia, e che le forze politiche non stiano facendo abbastanza per migliorare l’integrazione di coloro che vengono marginalizzati a causa della loro etnia, genere, e orientamento sessuale.
Negare che in Italia l’intolleranza esiste è una forma stessa di intolleranza. L’intolleranza, nelle forme di razzismo, sessismo e omofobia, nasce dall’ignoranza e l’ignoranza si può combattere solo con l’educazione. Attraverso la sensibilizzazione e la responsabilizzazione è possibile contribuire alla costruzione di una società multiculturale in cui la diversità è vista come un valore aggiunto e non un ostacolo e dove un bambino non si sente marginalizzato per il colore della pelle o per avere due mamme. È necessario quindi investire risorse in un sistema educativo e legislativo che insegni a valorizzare la diversità, promuovere l’equità, e migliorare l’inclusione, attraverso l’educazione nelle scuole, l’istituzione di forme di responsabilizzazione, e la definizione di leggi che possano tutelare le minoranze, nella speranza che l’Italia possa progredire velocemente in questa transizione culturale.
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